E-MTB: Malamot

EMTB : Malamot

Forte Malamot, 2914 mt slm, zona Moncenisio. Anche questo percorso era in lista da un po’, rinviato di continuo in quanto trovare condizioni meteo idonee per salire a sfiorare i 3000 richiede un po’ di fortuna. Destino vuole che la giornata di Ferragosto sia quella dal meteo piu’ propizio, e allora andiamo ad affrontare questo giretto: con l’elettrica la salita non presenta alcuna difficolta’, e in poco piu’ di 1 ora e mezza si arriva in cima partendo dalla sponda ovest del lago guadagnando 900 d+. La salita e’ piacevole, mai troppo pendente, se ne fa buona parte in eco e la ritengo in gran parte pedalabile anche senza un mezzo elettrificato, l’unica difficolta’ puo’ essere dovuta all’altitudine. In zona Moncenisio avevamo gia’ visistato un paio d’anni fa il Col Sollieres, sul versante Francese. Anche qua il paesaggio e’ quello quasi extraterrestre di questa zona, e piu’ si sale piu’ lo spettacolo si fa interessante, spaziando dalla panoramica sul lago al ghiacciaio del Giusalet.

Per arrivare in cima le uniche difficolta’ sono dovute a qualche pezzo particolarmente sassoso, non insuperabile dall’ebike, ma preferibile almeno per me l’uso del walk, onde evitare inutili danni al mezzo causa pietre mobili. Ed e’ in uno di questi passaggi che incrocio un ebiker con una Levo, che malgrado la rottura di un raggio prosegue il giro fino al forte. Oltre ai sassi, l’altra sorpresa e’ data da un nevaio sull’ultimo traverso. Anche qua il passaggio della bici non e’ stato dei piu’ intuitivi, e le five-ten si che grippano sui pedali, ma sulla neve diventano assolutamente scivolose e prive di ogni supporto.

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neve

In qualche modo comunque si passa, e si raggiunge il forte, risalente a fine 800. Da qua , oltre alla classica e onnipresente vista sul lago, ci si puo’ sporgere dal versante opposto e ammirare dall’altro il Lac Blanc e altri laghetti, a valle di quel che resta del ghiacciaio del Giusalet. Tra le rocce a picco verso i laghetti, riesco anche a scorgere e fotografare uno stambecco

A quasi 3000 metri fa freschino, quindi decido di invertire la rotta e iniziare a cercare la linea di discesa. E qua inizia il bello ….

Ripercorsi un paio di tornanti a ritroso, si lascia la strada principale, iniziando con una parte in freeride in direzione di un traliccio elettrico e poi di una cresta. Si percorre quel che resta di una strada, per poi attraversare una successione di divertentissimi rockgarden inframezzati da zone piu’ pratose, puntando ad un sentiero di cresta. Questa sezione e’ divertente e spettacolare, sembra di fare freeride sulla Luna o su di un’altro pianeta, e ci si puo’ divertire spaziando nella scelta della linea che si reputa piu’ divertente, fino a raggiungere il sentiero di cresta, dal cui attacco la vista sul lago non lascia indifferenti, ma inizia a destare qualche piccola preoccupazione.

cresta

Video della prima parte “freeride” della discesa

La traccia e’ chiara: tocca fare il sentiero di cresta. Ritrovo il biker con la Levo incontrato lungo la salita. Il sentiero di cresta, a tratti esposto su ambo i lati, e’ quasi completamente ciclabile eccezion fatta per un paio di passaggi letteralmente da “brivido”, dove occorre far passare la biciclettona a mano con la dovuta attenzione. Le parti scorrevoli pero’ sono semplici, e l’adrenalina di questi passaggi e’ unica, ma richiede la dovuta cautela. Arrivati all’apice della cresta la parete si apre un po’ a triangolo, e inizia la discesa a picco sul forte Pattecruse. La prima sezione e’ ripida e scassata, e ben presto la paura prende il sopravvento, anche perche’ gli spazi sono ancora angusti e la pendenza non indifferente. Affronto quindi una tratta a piedi, per poi rifare un pezzo in sella, fino a ritrovarmi in un traverso ripido e parzialmente esposto, pressoche’ impossibile da passare in sella per un comune mortale.
Superato quest’ultimo ostacolo, il sentiero torna guidabile anche se sempre ripido e scassato, su fondo irregolare e smosso, fino a tornare “umano” e , con due ultimi tornanti raggiungere il forte.

Video Cresta e Discesa:

Da qua ci si puo’ reputare sani e salvi, e con una semplice ma panoramica strada militare si riscende fino al punto di partenza ad altezza lago.

Concludendo: salita semplice, tranquilla, fattibile secondo me senza eccessivo sforzo anche senza ebike. Discesa da dividere in due, o meglio in tre. Prima parte, fino al sentiero di cresta, puro freeride super divertente, poi sentiero di cresta richiede attenzione e cautela nei passaggi esposti che, almeno per me, sono risultati spaventosi anche a mano. Discesa probabilmente da reinterpretare, nella prima sezione se anziche’ seguire il sentiero che e’ molto scavato si tenta una linea alternativa forse si sta anche di piu’ in sella, ma il traverso “diversamente scorrevole” e’ inevitabile. Passato quello pero’ , abbiamo un ultima sezione impegnativa ma divertente, a patto di avere un mezzo idoneo (full con una buona escursione). Il rientro poi per la militare e’ un po’ lunghetto, ma il giro vale.
Sconsigliato ai deboli di cuore e a chi soffre di vertigini. Panorami super e tanta adrenalina, raggiungibili con una salita relativamente tranquilla
.

Ringrazio il biker con la Levo che ho avuto la fortuna di incontrare per avermi atteso lungo le parti piu’ esposte 😉

Relive

Traccia (da usare a proprio rischio e pericolo !!!):

https://it.wikiloc.com/percorsi-bici-elettrica/malamot-emtb-54796838

EMTB: Traversata Colle della Rho – Colle di Valle stretta

eMTB Valsusa: dal Colle della Rho al Colle di Valle Stretta.

Ci sono dei giri “epici“, quasi irraggiungibili per il comune mortale. Questo e’ uno di quelli, uno di quei giri che avresti sempre voluto fare, ma che non avresti mai portato a termine con la giusta lucidita’ senza un ebike, rischiando di trasformare un attivita’ piacevole in una lotta alla sopravvivenza. Gia’ negli anni passati mi era balenata l’idea di affittare un ebike e azzardarlo, ma per svariati motivi (in primis quello di non trovare compagni di avventura) avevo rinunciato. Ora l’elettrica ce l’abbiamo, e il giro epico del colle della Rho era all’inizio della to-do-list estiva valsusina. Restava comunque da trovare un socio/a disposto a condividere questa lunga traversata e a mettere alla prova le doti arrampicatrici dell’ebike e l’autonomia della batteria.
Grazie a Facebook riesco a intercettare Daniele (MTB Explorer360), guida mtb e emtb local delle Rive Rosse ma che opera un po’ in tutto il NordOvest, curioso anche lui di verificare la fattibilta’ del giro con un elettrica.

Ci troviamo quindi alle 9.30 a Bardonecchia, e iniziamo la lenta salita verso il Colle della Rho. Si procede in eco fino a GrangeRho, poi le pendenze aumentano, e devo portare il mio Bosch in modalita’ Tour. Il fondo e’ mediamente buono, e senza fatica prendiamo quota, attraversando ampie praterie, fino a raggiungere la famosa galleria del colle della Rho. Il particolare passaggio e’ stato restaurato di recente, e il suo attraversamento regala un ulteriore tocco di originalita’ al giro.

Lasciato il tunnel ci troviamo nei pressi della Caserma Pian dei Morti, da qua il paesaggio diventa sempre piu’ maestoso, e con qualche sforzo in piu’ arriviamo al Colle della Rho, punto piu’ alto del giro (2540 slm) e confine tra Italia e Francia. Abbiamo tirato su gia’ 1200 d+ abbondanti, e la mia bici ha consumato due tacche di batteria.

Iniziamo quindi la prima discesa del giro, sul versante Francese. La giornata limpida e’ perfetta, e permette di godere di un ampia vista fino ai ghiacciai della Vanoise. Ma bisogna restare concentrati, in quanto il primo pezzo della discesa e’ abbastanza tecnico e prevede un fondo ampiamente breccioloso e smosso, qualche tornante stretto e passaggi su roccia mix tra fisso e smosso, per poi diventare piu’ flow nell’ultima sezione. Non mancano le sorprese, quali un nevaio ad interrompere la traccia, facilmente aggirabile.

(video)

Proseguiamo poi tenendoci a sinistra, e percorrendo uno spettacolare e panoramico flow trail a mezzacosta che attraversa siepi di rododendri (la stagione ahime’ non e’ quella giusta) dal fondo perfetto, quasi a sembrare una linea di bikepark, fino a raggiungere un avvallamento dal quale la pendenza si inverte, portandoci ad affrontare poi il pezzo piu’ arduo della giornata ovvero la salita al colle della Replanette.


La salita alla Replanette e’, teoricamente, pedalabile con ebike. Dico teoricamente perche’ le pendenze non sono fuori portata, ma il fondo e’ bruttissimo, pieno di ciotoloni, a tratti scavato, e ci costringe ben presto ad utilizzare la modalita’ walk. A tal proposito mi permetto di consigliare questo giro solo con ebike che abbiano un buon walk mode, altrimenti questa sezione rischia di diventare veramente complessa da oltrepassare.
Con molta fatica scolliniamo nuovamente: non e’ facile trovare le parole per descrivere l’immensita’ delle vette che ci circondano. Intravediamo il refuge du Thabor e il colle di Valle Stretta, nostro prossimo target prima di affrontare l’ultima discesa verso il versante Italiano. Un’altro traverso, in leggera salita sempre pedalabile ci porta al Colle: siamo circondati da cime dall’aspetto dolomitico, e vediamo gia’ il flow trail che ci aspetta in discesa attraversare ampie praterie dove le mucche al pascolo sono di casa.

Si scende, divincolandosi un po’ tra mucche e qualche pedone (siamo vicini alla frequentatissima Valle Stretta e il numero di escursionisti e’ consistente, prestare attenzione) , con prima parte molto flow naturale intervallata da passaggi su roccia fissa, poi una sezione in cui siamo costretti a scendere in quanto decisamente erosa e non ciclabile, poi , passato un torrentello, ci aspetta una zona con frequenti passaggi su roccia quasi in piano, tecnica e mentalmente impegnativa, ma ottima per sfruttare appieno le potenzialita’ del mezzo elettrico. Purtroppo ci aspetta ancora un tratto che ci obbliga a smontare dal mezzo, che attacca con un rockgarden su pietra fissa ancora quasi fattibile, poi traccia inesistente e sfasciumi di ogni genere rendono impossibile il passaggio almeno per un rider di medio livello. Ancora qualche curva, e siamo al Piano della Fonderia, al fondo della Valle Stretta.

(video)

I giochi non sono ancora chiusi pero’, e ci aspetta l’ultimo classico flow trail che discende la valle. Molto interessante la seconda parte, che non avevo mai fatto , ma che con ebike diventa davvero divertente , offrendo una sezione guidata nel bosco niente male, una gradita sorpresa a fine giro.

Con un elasped time di 6.50 h , e quasi 1600 d+ affrontati concludiamo questa splendida grande impresa elettrica.

Concludendo: un giro spaziale, con lunghe discese e/o tratti pedalabili e piacevoli sempre sopra i 2000 mt slm, eccezion fatta per l’ultima discesa di Valle Stretta tutti i sentieri sono in alta quota, girando in un contesto grandioso di alta montagna, tra sfasciumi, praterie e guglie imponenti. Anche con ebike necessita di un discreto allenamento, le salite sono sempre impegnative e chiedono lavoro al motore. Una cosa e’ certa, senza il mezzo motorizzato il giro sarebbe stato fuori portata e poco godibile. Ovvio che chi ha buona gamba e non ha problemi a spingere e/o a portarsi a spalle la bici puo’ effettuare il giro anche con una bici tradizionale muscolare.

Relive

Traccia gps gpx (da usarsi sotto la propria responsabilita’ itinerario in alta quota con copertura cellulare limitata)

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Ringrazio Daniele x aver condiviso con me questo super giro e per le foto .

eMTB Valsusa: Lac Lavoir

Lac Lavoir Valle Sretta

Il disporre di un ebike consente un approccio diverso all’uso della bicicletta in montagna. La salita non e’ piu’ semplicemente il noioso mezzo per raggiungere la discesa, ma diventa anch’essa una sfida tecnica e fa parte del gioco. Ma non solo, le grandi doti arrampicatrici di questa Mondraker permettono di avventurarsi su percorsi normalmente preclusi alle bici, a meno di non essere amanti dello spingismo piu’ o meno fine a se stesso. Entrando in quest’ottica e’ possibile, anche senza impegnare un intera giornata, raggiungere posti spettacolari in quota pedalando su trail genericamente usufruibili soltanto a piedi. E’ il caso ad esempio del Lac Lavoir, bellissimo laghetto a quota 2300 circa raggiungibile dal fondovalle della Valle stretta (piano delle fonderie).
Arrivare al fondovalle con l’elettrica e’ poco piu’ che una passeggiatina. In mezz’ora si arriva da Pian del Colle al rifugio 3o alpini (tutto in eco) e con altri 15 minuti fino al piano della Fonderia (un breve tratto in tour, non per la pendenza ma per il brecciolato). Da qua inizia la salita vera.

Impostiamo l’assistenza su emtb, la modalita’ presente sui motori bosch che permette l’adeguamento del lavoro del motore in base alla pedalata, e ci apprestiamo a salire per una sterrata a tratti mediamente scassata fino alla Maison des Chamois, ultimo presidio umano inerpicato sulla partete nord del fondovalle. Lasciate le costruzioni, la strada si stringe diventando sentiero, e attacca subito una bella rampa fortunatamente dal buon fondo, che spiana nei pressi di un punto panoramico ben segnato da una croce.

Da qua si entra in un ampia conca, e le conifere gia’ ormai rade lasciano posto ad ampie praterie. Si prosegue seguendo il torrente e alternando tratti pianeggianti a qualche rampa, mai lunga ma dal fondo sempre breccioloso: in due occasioni sono stata costretta al potentissimo walk mode, anche per la presenza di molti escurisonisti a piedi. Conviene guardarsi in giro e cercare linee alternative, magari sull’ereba quando possibile piuttosto che seguire palesemente il trail, se ne guadagna in pedalabilita’. E infatti, a pochi metri dal lago notando che il sentiero diventa sempre piu’ scassato anche se non ripido, decido di arrampicarmi su una collinetta in mezzo ai prati, per poi ritrovarmi a cospetto del lago, poco piu’ in alto.

Sempre in freeride scendo fino in riva allo specchio d’acqua … qualche minuto di pausa per le foto di rito e per ammirare il paesaggio, e poi si inverte la rotta.

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me lavoir

Il primo pezzo di discesa segue, eccezion fatta per qualche variante freeride, la linea di salita. Poi da poco sopra la maison du Chamois, prendo una variante piu’ stretta e tecnica, dove le skill di schiacciasassi del bicione vengono ben evidenziate. Occorre prestare molta attenzione ai pedoni, ricordiamoci che hanno la precedenza e di comportarci in modo corretto. Riprendiamo ancora per qualche metro lo stradotto largo, per poi pero’ lasciarlo in favore di un trail molto naturale gia’ sperimentato lo scorso anno con la specy.
Ritornati al piano delle Fonderie, la discesa e’ la classica flow della Valle Stretta, forse un pelo piu’ sporca che in passato ma ancor piu’ apprezzabile con il bicione schiacciasassi.

Dopo 19.5 km (di cui 9.5 di discesa) e quasi 800 d+ ritroviamo il qubo, con grande soddisfazione per il comportamento del mezzo motorizzato.

Per concludere: l’ebike apre nuovi confini, nuove prospettive e offre una liberta’ di azione che con un mezzo privo di motore e’ impensabile. Porta con se un grande spirito freeride, e incentiva la voglia di esplorare e vivere la montagna in liberta’. Ma a tutto questo c’e’ un ma. I bikers, e sopratutto gli elettrici, sono un po’ gli ultimi arrivati sui trail a “bollino cai”. Ieri ero da sola, ma un gruppo anche solo di 5/6 elettrici avrebbe avuto non facile convivenza con i pedoni. Sarebbe opportuno, in mancanza di una regolamentazione specifica, cercare giri sempre ad anello, evitare i doppi sensi su sentieri stretti e prediligere, perlomeno in salita, linee non frequentate da pedoni, e moderare la velocita’ in discesa. Solo comportandoci in maniera corretta potremo evitare la comparsa di divieti nei nostri confronti.

Video Log

MTB: DuneMosse – Miralago

Carsoli – Lago del Turano – Dune Mosse

Il countdown che ci riportera’ finalmente a Nordovest e’ iniziato, e questo che e’ appena trascorso e’ l’ultimo weekend che passo nella capitale, prima della pausa estiva. Luglio e’ il mese che forse piu’ odio trascorrere in una grande citta’ come Roma… fa caldo, e fare attivita’ all’aria aperta implica fare tanti kilometri in macchina… e non sempre questo e’ possibile, sopratutto infrasettimanalmente quando il traffico, ormai tornato alla normalita’, puo’ trasformare un’uscita fuori porta in una lunga permanenza sul GRA (Grande Raccordo Anulare per chi legge da fuori).La conseguenza e’ che quell’ottimo stato di forma che avevo raggiunto dopo il lockdown, sta pian piano lasciando il posto alla mia consueta pippaggine e lentezza. Non sono un atleta, la genetica non mi ha aiutato, allenarmi in maniera sistematica quando ho “altre cose piu’ divertenti” da fare non e’ cosa per me … il futuro sara’ elettrico questo ormai e’ chiaro. Ma in attesa di trovare un mezzo motorizzato compatibile con le mie esigenze anatomiche e finanziarie, continuo a spingere la specy e a esplorare nuove location. E proprio per concludere questo luglio malefico scelgo di tornare con i ragazzi di Bicinatura a provare un giro inedito per tutti. Siamo poco oltre Carsoli, sulle sponde del lago del Turano, e da qua saliremo ad affrontare un sentiero chiamato dune mosse. Il nome non mi ispira fiducia, ma ho voglia di posti nuovi, e poi se non sono troppo lontani da casa ancora meglio.

L’appuntamento e’ alle 8.30 , prestino per i miei standard, ma oggi comunque preferisco non fare troppo tardi visto che ormai sono nell’ottica della partenza. Ormai ho capito che maps non conosce Qubo e le sue limitate performance in salita, e che 10 minuti in piu’ di quel che dice il navigatore van sempre presi in conto. Alle 7.15 circa sono in macchina, e arrivo giusto puntuale all’appuntamento.

L’itinerario prevede una primo avvicinamento su asfalto pressoche’ pianeggiante, e poi si inizia a salire, sempre su asfalto, tranquillo e poco trafficato. Non fatico piu’ di tanto ma non riesco a tenere il ritmo del gruppo, o meglio potrei anche provare a forzare un pelo ma il rischio di crollare e’ alto. Gia’ cosi’ la mia media non supera i 6.1 km/h , con una VAM di 414 d+/h. Insomma sono tornata ai miei standard “medi”. Lasciato l’asfalto, ci si inerpica su una carrereccia dal fondo smosso che fortunatamente resta sempre all’ombra di una pineta: eccezion fatta per una breve tratta, sarebbe tutta pedalabile o quasi, ma le mie gambe non sono in grado, quindi non resta che la solita soluzione: spingismo.

E a spingismo con poche interruzioni raggiungiamo il punto piu’ alto, attorno a quota 1200: l’arietta e fresca e si gode di un bel panorama.

dunemosse top


Ancora pochi metri ci separano dalla discesa: si parte con un tratto nel sottobosco, che ben presto lasciamo in favore di spazi piu’ aperti, ma con un terreno smosso tipo stradotto dismesso e privo di manutenzione che mi crea non pochi problemi. Le pietre mobili fanno da padrona spesso e volenteiri, mettendomi paura e impedendomi di apprezzare appieno il trail. Fortunatamente a rendere il tutto piacevole c’e’ la vista sul lago del Turano che non lascia indifferenti.

top
lake
down

Ma serve concentrazione e fiducia per riuscire a superare queste sassaie. Fiducia che non ho, in queste situazioni a me ancora ingestibili, il mio confidence level scende sottozero, e la fiducia nel mezzo e’ nulla. In pratica sono spesso costretta a scendere, anche in tratti dove le pendenze non sono di certo il pericolo, ma l’imprevedibilita‘ della guida sullo smosso non fa parte del mio repertorio e non so se mai lo fara’ … non con questo mezzo almeno.

Scendendo si alterna qualche tratto piu’ “scorrevole” a qualche passaggio piu’ tecnico, il caldo non aiuta e non riesco a concentrarmi. Gestire la bici che “scapretta” (termine coniato nella giornata odierna) non e’ cosa semplice e l’idea di andare in terra sulle pietre rotolanti non mi alletta piu’ di tanto. Non e’ il mio trail e forse nemmeno la mia giornata, ma non sempre le aspettative vengono mantenute. E poi questa discesa era “blind” per tutti. L’unica certezza erano i paesaggi indubbiamente piacevoli e l’arrivo sulle sponde del lago che quasi inviterebbe ad un bagno.

lago

Per concludere … ci sono trail che mi lasciano conti in sospeso e che mi fan venire voglia di ritornarci a “risolvere i conti in sospeso”. Questo no. La mia poca affinita’ con il fondo smosso fa si che, almeno finche’ la stumpjumper sara’ la mia bici, queste pietre che rotolano e’ meglio lasciarle da parte. Vedremo se in un futuro “elettrico” , quindi con un mezzo indubbiamente piu’ stabile in queste circostanze potro’ cambiare opinione su questo tipo di terreno.

Video : ho apprezzato i panorami piu’ rivedendo la discesa che non dal vivo … tanto era la mia preoccupazione per le pietre rotolanti …

Traccia
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Si ringraziano gli amici di Bicinatura per la guida, la compagnia e sopratutto la pazienza.

NB: il giudizio sul trail e’ estremamente soggettivo. Io non ho mai avuto un buon rapporto con il terreno smosso. Forse nel futuro elettrico con un mezzo piu’ stabile diventero’ in grado di apprezzare di piu’. Per il momento diciamo proprio che non e’ il mio genere di percorso …

MTB: Monte Calvo

Monte Calvo (AQ)

Ammetto che stavo studiando questo giro da un po’, sempre su ispirazione del solito Bicinatura.
C’erano due cose che non mi convincevano: 1) lo spingismo 2) il lungo transfer su asfalto su strada statale. Fortunatamente con il gruppo degli elettrici si riesce a organizzare un recupero, risparmiando se non altro i 10km di asfalto, noiosi e pericolosi.
Come sempre, quando il gruppo e’ tutto elettrico, non tutti i giri sono fattibili in convivenza pacifica. Se devo dare una valutazione, questo si pone in una situazione intermedia, vediamo un po’ il perche’ ed il come e’ andata. Google maps mi dice che il punto di partenza (una a me ignota localita’ a 10km dall’uscita L’Aquila ovest) e’ a un ora e mezza da casa, ma ormai conosco il mio “pollo” e so che con la lentezza di Qubo ci vorranno quasi 2 ore. Pazienza, speriamo valga la pena. Organizzate le operazioni di recupero, si sale, su una bella stradina asfaltata che tiene il 10% costante e che tira su 100 d+ ogni km. Il mio “peso morto” si fa sentire gia’ dal secondo km. Diciamo chiaramente che, con il dovuto allenamento, finche’ le pendenze non superano il 6-7% stare in scia ad un elettrico in eco non e’ fuori portata , ma le cose diventano ben diverse quando devo mettere il 46 e salire pian pianino. Sottolineo che la strada, avendo buon fondo asfaltato e’ pedalabilissima e la avrei pedalata tutta, con i miei tempi. Ma per non aspettare troppo agganciamo la famosa “cima di recupero” e recuperiamo 1km/h abbondante sulla mia media, arrivando rapidamente alla fine dell’asfalto, in corrispondenza di un ripetitore.
Il posto gia’ da qua offre panorami gia’ di “montagna”, o perlomeno, ad ampi spazi aperti con praterie e sassi sparsi, lasciando per un po’ da parte le consuete faggete che sono un po’ il default appenninico.

calvo ripetitori

Bisogna continuare a salire …e le pendenze diventano sempre + imporanti e il fondo sempre peggiore: per me non resta che una soluzione, ovvero lo spingismo. E mentre quasi tutti gli elettrici riescono a salire in sella io spingo , spingo e spingo, fino ad una scassata strada mezzacosta che torna pedalabile.

calvo mezzacosta
calvo 2

Raggiungo cosi’ a quello che sara’ per me, Guido, Massimo e Pino il punto d’arrivo. Gli altri, coraggiosi, azzardano la salita in vetta, ovvero ancora 200 d+ di cui parti a spinta anche con l’ebike. Diciamo pure di aver spinto abbastanza e di non essere particolarmente propensa a questo tipo di giri, anche se immagino che il sentiero di cresta possa valere la fatica.

croce calvo

Anche dalla nostra “anticima” comunque il paesaggio non e’ male, e per certi versi, ricorda il monte Fasce sopra Genova, ma in un contesto compltamente differente, e fortuntamente, meno esposto.

calvo down
calvo mybike

Dopo una lunga attesa a tratti al freddo, ricompattiamo il gruppo e iniziamo la vera discesa, che non delude.
Si parte con un lungo traverso, molto panoramico, a cui segue una parte in pieno freeride giu’ per le praterie fino alle prime faggete. Da qua, la musica cambia, con un sentiero in terra fondamentalmente flow che ogni tanto nasconde qualche tratto insidioso e qualche tornante , perdendo quota varia anche la vegetazione, e, stranamente, si osserva la presenza di conifere. Varia anche il fondo, diventando a tratti molto breccioloso, e dopo un rilancio, inizia quella che forse per me e’ la parte piu’ bella, una serie di stretti tornantini, un po’ in stile Torretta o Infernet, con cui mettersi alla prova. Un totale di 11 kilometri di discesa , molto vari e mai banali , raggiungibili in fondo con “solo” 9.5 km di salita (su 800 d+) facendo recupero. Volendo pedalarsi l’asfalto, c’e’da aggiungere 10km di statale che “dolcemente” guadagnano 300d+.

Il giro e’ stata anche l’occasione per provare la mia nuova “gopro dei povery”. La xiaomi ahime’ mi ha tradito, e ho dovuto optare per questa ApeCam dalle discrete recensioni. Purtroppo pero’ sono riuscita ad editare solo i file a bassa risoluzione, quindi perdonatemi se i filmati non sono come speravo. E spero anche di ricredermi su questa action cam.

Traccia con recupero

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Ringrazio Guido, Giuseppe, Roberto, Orlando e tutti gli altri Elettrici che mi han fatto da skilift e pazientato durante le tratte spingistiche. Il giro comunque, se fatto senza vetta, visto comunque il ridotto sviluppo kilometrico della salita, e’ fattibile tranquillamente da gruppi misti senza eccessivi “squilibri temporali”

MTB: Zi’ Chiccu

Zi Chiccu, stairway to flow…

Zi Chiccu: credo che piu’ o meno chiunque vada in MTB con orientamento AM/Enduro nel lazio abbia sentito perlomeno parlare di questo trail mitologico. A dirla tutta e’ stato uno dei primi report che ho letto sul sito Bicinatura quando ho ricominciato con la MTB e cercavo giri che matchassero i miei gusti, rimanendo colpita dai video e dalla descrizione del trail, un natural flow da 11 km che per venir conquistato pero’ richiedeva un’eterna pedalata di 28 km su 1300 d+. Cosa che 3 anni fa era sicuramente fuori dalla mia portata. Adesso, visto il momento di bike positivity e un allenamento presumibilmente “quasi accettabile” le potenzialita’ per chiudere il giro senza incontrare troppi santi lungo la strada ci sono tutte. Non era in realta’ questo il programma per ieri: sarei dovuta spararmi quasi 3 ore di macchina per andare a girare all’Amiata con le #RagazzeFreeride, ma, da una parte la proposta dei miei amici elettrici Guido e Giuseppe, dall’altra lo stato meccanico non ottimale dela mia bici, dall’altra ancora che 3 ore di macchina sono tante, guardo il meteo e decido: NOW OR NEVER, adesso o mai, in quanto Zi Chiccu ha uno sviluppo altimetrico con range 450-1600 circa, con conseguente “finestra” per svolgerlo in sicurezza e divertendosi piuttosto limitata, sopratutto se non si dispone di un ebike. Mi spiego meglio … la parte bassa puo’ anche essere molto calda … mentre poi si sale di quota e il clima puo’ cambiare, il giro e’ lungo (il mio logging time e’ stato di 8h41 minuti), quindi per una/o rider muscolare con allenamento appena sufficente ad affrontare tale dislivello (ma sopratutto kilometraggio) la finestra di svolgimento del giro si limita al periodo che va da giugno ai primi di luglio, a cui va aggiunta la condizione – almeno per chi come me soffre il caldo tantissimo- di avere alla partenza una temperatura sotto i 30 gradi.
Ieri dunque tutte le condizioni erano al top, e questa occasione non potevo farmela sfuggire.
Si parte dunque, con quasi 1h di anticipo nei confronti dei miei due compagni d’avventura elettrici che mi raggiungeranno lungo la via.

Il luogo di partenza e’ Borgo Velino, location gia’ nota per la partenza di altri bei giri quali il Nuria. Da qua, si sale, inerosabilmente, prima su asfalto pedalabile, poi inizia un eterna sterrata, noiosa quanto basta, con un fondo che non e’ mai dei migliori. Cerco di non forzare assolutamente, e di evitare qualunque strappo anche se fattibile. La strada non e’ lunga, di piu’, e bisogna conservare le forze per arrivare fino al fatidico imbocco del mitologico ZiChiccu. Il panorama lascia qualche scorcio interessante, ma fondamentalmente la strada e’ lunga e noiosa. Attorno al 15esimo km mi raggiungono i miei amici, e ci concediamo una pausa nei pressi di una fonte in compagnia di alcune vacche al pascolo.

uphill1
pozza
mkka pazza

Prosegue quindi l’eterna via crucis, su fondo non sempre buono. Per un breve tratto scambio la bici con Giuseppe, e l’elettrica mi permette di risposare un po’ le gambe. Il giro pero’ e’ talmente lungo che nemmeno gli elettrici possono permettersi di “correre”, pena l’esaurimento precoce della batteria. Arriviamo fino ad una sella panoramica: siamo a 23 km e 1000 d+ abbondanti gia’ percorsi.

sella
pan

Da qua, in teoria dovrebbe/potrebbe esserci una scorciatoia, che riduce la parte su singletrack ma toglie anche l’ultima, antipatica, salita. Credo che sara’ oggetto di futura esplorazione.
Proseguiamo ancora, su una strada fortunatamente tutta in ombra, che ben presto inizia a presentare qualche saliscendi. Purtoppo per me la stanchezza si fa sentire, le gambe non girano piu’ e sono costretta ad arrendermi e a farmi tirare lungo quest’ultima, quasi mortale, sezione. Lungo questa tratta, malgrado il traino, faccio approfondita conoscenza con un bel po’ di santi … insomma l’altro mondo e’ davvero vicino. E’ passata un eternita’, io ho il culo piatto ormai, ma ora davanti a noi c’e’ una sbarra e poi l’asfalto della strada del Terminillo. Ancora qualche colpo lentissimo di pedale e arriviamo in localita’ Cinque Confini, da cui finalmente siamo sovrastati da un qualcosa che somiglia da una montagna (per come intendo io le montagne ..) e non ad immensi collinoni. Siamo tornati alla “civilta’”, e possiamo addirittura fermaci ad un bar per un caffe’ (e per un OKI , in quanto la sottoscritta ha dolori in ogni dove, e desidera comunque riuscire a godersi la super discesa).

Terminillo

Finalmente puntiamo le ruote verso valle. Tralasciando la prima parte un po’ sporca, il sentiero e’ esattamente come speravo: un infinito mix di sezioni flow, curve strette, qualche parte piu’ rocciosa. Dopo un mezzacosta si apre una sezione a tornanti che culmina in una prateria panoramica … Questa’ e’ l’unica parte che la mia telecamera la cui batteria e’ ormai in fin di vita ha riuscito a documentare:


Si prosegue poi con una lunga e bella parte superflow, dove la scorrevolezza su sentiero naturale fa dimenticare la fatica fatta per arrivarci. Giusto qualche piccolo pezzo un po’ piu’ ostico e piu’ scivoloso mi mette in leggera difficolta’. Il trail sbuca sulla strada dei castagneti (gia’ percorsa nel giro della Cicloturistica di Antrodoco), che dovremo percorrere in discesa fino al tornante dove inizia il “vero” Zi Chiccu, ovvero l’ultima sezione (esplorata comunque in un precedente giro): si tratta di un sentiero straordinario, un flow guidato naturale con cuve strette a tratti ripide con qualche pietra fissa per complicarci ogni tanto la vita … ma nella globalita’ questo e’ davvero uno dei sentieri naturali piu’ belli e godibili mai percorsi. Fatto con una maggiore lucidita’ (qualche curva a sinistra la ho sbagliata) diventerebbe ancora piu’ apprezzabile.

Per concludere: se abitate nel centro Italia e andate in mtb, questo e’ un giro che vale l’immane sforzo della salita. Non e’ un giro da panorami imponenti o di alta quota, ma e’ letteralmente la “conquista” di quella che per ora mi permetto di definire come la piu’ bella e lunga discesa all-mountain (o enduro naturale se preferite) del centro Italia. Con questa e il Nuria, la zona di Antrodoco si conferma con un potenziale unico nel suo genere, con discese perfette per chi ama il “#naturalmentescorrevole“.

Un ringraziamento grande a Giuseppe e Guido per la compagnia e la pazienza.

Per la traccia, vi rimando a Bicinatura.

Direttissima All-Mountain

Direttissima All Mountain

Il mio buono stato di forma (x i miei standard ovviamente) sembra persistere, e le risposte positive del mio fisico avute durante l’impegnativo giro del Morretano di 2 settimane fa mi danno l’input per alzare ulteriormente l’asticella, e sopratutto mi permettono di poter ampliare le possibilita’ di scelta dei giri (e della compagnia), senza dovermi imporre limiti dovuti alla mia scarsa preparazione atletica. A dire il vero di questo giro sapevo ben poco, sapevo che si sarebbe fatta la classica “direttissima“, e che ci si sarebbe arrivati da un’altra strada, piu’ lunga ma piu’ pedalabile. Questo e’ quanto mi aveva detto Gianluca, local della zona Castelli Romani e Guida MTB CSEN, l’ideatore del giro. In genere sono abituata a documentarmi molto, ma negli ultimi giorni ho avuto poco tempo. Quindi ho deciso di accetare questa proposta un po’ blind, ispirata anche dalla presenza di Ottavio (maestro mtb con cui avevo gia’ girato non solo in bici ma anche con la splitboard) e del mitico Giangi (un pezzo di “storia” della MTB da queste parti … potrebbe essere mio padre e pedala una specy enduro 26 muscolare) e di mettermi nuovamente alla prova.

Si parte su asfalto poco pendente, la direzione e’ quella del giro classico ma stavolta il bivio per RoccaGiovine lo lasciamo alle spalle e proseguiamo lungo la valle, fino ad imboccare uno sterrato che conduce ad un fiumiciattolo che scende nel verde tra pozze e cascatelle. La location si chiama “Giardino dei 5 sensi” ed ovviamente si presta alla foto di rito.

cascata 5 sensi

Inizia la salita, che ben presto si incattivisce con due rampe mortali, fortunatamente abbastanza brevi. Da qua in poi diventa sterrato dal buon fondo, tutto pedalabile e senza particolari difficolta’, una classica strada che sale a tornanti molto panoramica, cosa rara in queste zone dove troppo spesso quando sali non riesci a capire di quanto stai salendo, sali e basta. Da qua si scorge spesso il fondovalle, e ben si realizza il guadagno di quota. Il tutto va avanti tranquillo fino a quota circa 1000 e qualcosa slm, dove, raggiunto un colletto, troviamo una fonte fresca abbastanza per rifornirci d’acqua. Siamo poco lontani dal “famoso” monte Pellecchia, classica “spingistica” dei monti Lucretili.

gruppetto
mukke


valley down

Da qui in poi la musica cambia e iniziano una serie di singletrack a tratti piuttosto sporchi e scassati, con frequenti saliscendi intervallati da sezioni piu’ flow, attraversando boschi e radure. In questo ambiente, molto diverso da quello alpino e’ facile perdere l’orientamento e trovarsi senza punti di riferimento. Questa e’ la stranezza che caratterizza gli appennini centrali, che spiazza completamente chi viene da un contesto alpino come me, abituato ad aver riferimenti ben precisi legati all’orografia e quindi alla presenza di corsi d’acqua. Qua non c’e’nulla di simile, il gps e’ d’obbligo e io non faccio altro che chiedere “dove siamo” in quanto ho serie difficolta’ ad inquadrare il posto.

sassaia
big tree
prati

Con molta fatica e qualche sporadico segno di cedimento, si prosegue tra brevi tratti a spinta e singletrack piu’ o meno scassati … sporadicamente esce qualcosa di flow, ma pietre e rami la fanno piu’ da padrona. Una cosa e’ certa, che se venisse fatta un po’ di manutenzione e pulizia questi sentieri sarebbero ancora piu’ apprezzabili. Ma ci troviamo davvero fuori dal mondo e lontanissimo dalla civilta’.

Per parte del giro ci ritroviamo in compagnia di un cagnolino, probabilmente abbandonato … purtroppo ogni tentativo di avvicinarlo e’ stato vano… fortunatamente il giorno successivo una trekker e’ riuscita a recuperare la bestiola, rivelatasi poi una femminuccia, e a portarla in salvo.

Continuiamo quindi , tra saliscendi piu’ o meno faticosi, tra pezzi scassatissimi intervallati da parentesi flow, fino a ritrovare un posto noto: prato delle Forme, gia’ incrociato durante il primo giro alla Direttissima, proprio a fine lockdown. Da qua finalmente riprendo il senso dell’orientamento, e anche la fiducia e la voglia di finire il giro. Un ultimo saliscendi, poi ancora gli strappi infernali nella faggeta per giungere, finalmente allo start della Direttissima.

direttissima 1
direttissima 2

Terreno perfetto stavolta, per un trail fantastico che mixa un po’ tutto, flow, rocce, salti, ripido guidato.
Malgrado la stanchezza l’adrenalina e la voglia di godersi la discesa sale, e si viaggia bene, sia sulle rocce che staccando le ruote dal suolo sullo spettacolare salto nei pressi del fontanile.

rockgarden
jump

Ma le immagini come spesso avviene rendono piu’ delle parole, e vi lascio in compagnia del video della nostra super-guida Gianluca Russo

How to Share With Just Friends

How to share with just friends.

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Per concludere, un giro bello, impegnativo, alla scoperta di posti affascinanti su terreni a tratti difficili, lontani quanto basta dalla civilta’ umana. Compagnia davvero al TOP, meteo e temperatura perfetti, insomma un sabato superlativo, e grande soddisfazione per essere sopravvissuta senza sfigurare e rallentare a 1200 d+ su 33 km.

Ringrazio infinitamente la guida Gianluca Russo , Ottavio , Giangi e Francesco per questa bellissima giornata. Speriamo che si ripresenti l’occasione di girare assieme 😉

Traccia (NB punto di partenza sballato in quanto unione di due segmenti, partire dal parcheggio a Vicovaro nel punto + basso della traccia)

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EOY 2019

EOY 2019 – End of Year 2019

Se c’e’ una cosa che ha fatto da padrona in quest’anno e’ la paura di invecchiare.
La paura di essere troppo vecchia per fare questo, quest’altro, quest’altro ancora.
Dove questo e’ la bici, quest’altro e’ il surf, quest’altro ancora e’ lo snowboard, e poi aggiungiamoci ancora la crisi di infantilismo con i pattini in linea.
Mi fa profondamente male dirmelo, ma sto vivendo una seconda adolescenza.
Da over 40, sto rivivendo in un altra ottica e con problematiche diverse (ma sostanzialmente simili) gli stessi problemi che avevo quando avevo 15 anni.
Per farla breve, l’essere semplicemente me stessa, peccato che questa “me stessa” sia un qualcosa di diverso da quello che la societa’ vuole farci essere e da quello che e’ il comune conformismo.

Aggiungiamoci l’essere attualmente prigioniera in una citta’ con cui non ho nulla da spartire se non il fatto che ho un lavoro che cmq mi piace ed e’ coerente con i miei studi.

Ma non e’ cmq il lavoro della mia vita … o meglio diciamo che se potessi riprodurre la mia situazione attuale in uno dei due posti che chiamo casa (uno e’ la liguria di Levante, l’altro e’ qua, l’alta Valsusa) potrei tranquillamente continuare a vivere felice godendo delle bellezze offerte dal territorio e raccontandole qua sul blog.

Purtoppo, non e’ cosi’, o non lo e’ al momento. In questo 2019 che sta per concludersi ho fatto alcune scelte, ho cercato di lavorare sul mio livello in bici, ho anche raggiunto un certo traguardo che consideriamo per ora “congelato”, continuando a fare continuamente i conti con il mondo circostante e una realta’ che non mi appartiene.
Sono tante piccole cose, che messe tutte assieme creano una situazione di non facile (di)gestione.

La maggior parte dei miei coentanei e’ “sistemata”. Molti sono “sistemati a dovere”, ovvero hanno figli. Molti fanno “salti mortali” per continuare a dedicarsi alle proprie passioni.
Alcuni cercano, quando possibile, di trasmetterle alla nuova generazione. Cambiano le esigenze, posso capirlo credo cambi tutto.

E invece io sono ancora qua, a giocare con la biciclettina, con il surf, con “lo snowboard che si trasforma in due sci” e con i pattini.
E voglio continuare a giocarci piu’ a lungo possibile. Ho la sindrome di peter pan, lo so, mi piacerebbe prima o poi che uno di questi giochini (quello che so utilizzare meglio …) potesse permettermi di fare un qualcosa di diverso anche lavorativamente parlando, ma la cosa non e’ cosi’ semplice e, inoltre, lo spettro di “non essere piu’ in tempo” continua a infastidirmi con la sua presenza.

Ad ora non posso fare altro che giocare il piu’ possibile all’aria aperta nei miei playground; le montagne per quanto riguarda bici e snowboard, e il mare per quel poco surf che continuo a fare.

Gia’ il surf, e il mio rapporto di amore e odio per questa attivita’. Ho concluso l’anno con un periodo “surf positive”, dove sono stata fortunata con alcune belle giornate di onde adatte al longboard e a quel che cerco di farci. Sto cercando, per quanto possibile, di darmi degli obiettivi tecnici per trovare uno stimolo a migliorarmi e entrare in acqua, cercando di dimostrare che anche una vechia gallina, a tratti goffa e senza il fisico da top model, puo’ fare surf (longboard) in maniera dignitosa.
Il fisico da top-model ecco: ne avevo gia’ parlato su facebook, ma questo estremismo sessista che caratterizza l’immagine che viene propinata mediaticamente del surf, proprio non riesco ad ingurgitarlo.
Nel nostro mare non e’ considerabile uno sport, la frequenza delle mareggiate e l’affollamento fanno si che l’energia necessaria per surfare con un longboard, una volta apprese le basi, sia davvero poca.
Un discreto nuotatore con un buon equilibrio e una discreta forza esplosiva impara a surfare tranquillamente senza troppi impedimenti. Ma poi tocca scontrarsi con tutta una serie di cose e di meccanismi poco compatibili con chi, come me, ha bisogno in primis di pace e di trovare la giusta sintonia con gli elementi. Se fare surf deve essere come andare all’ikea, allora non ci siamo. E non mi dilungo in ulteriori analisi perche’ tanto, quello dell’affollamento e’ un problema senza soluzione.
surf

Passiamo alla bici: annata che definirei con alti e bassi, fortunatamente senza infortuni. La nota positiva e’ stata quella di aver trovato, finalmente, anche in centro Italia un’altra ragazza (Laura) con cui condividere buona parte delle mie follie e a cui cercare di trasmettere il mio know how (foto) e addirittura far conoscere la mia Valle.

rrr
Tecnicamente parlando, e’ stata una fase un po’ a corrente alternata, sia per la forma fisica che per la tecnica in discesa. C’e’ tanto da lavorare, e vorrei riuscire ad avere una maggiore continuita’ sui tracciati tecnici tipo quelli Liguri. La cosa finche’ saro’ a Roma, costretta a macinare km, senza essere “local” di un bel niente, non sara’ semplice per 1000 ragioni legate piu’ che altro alla logistica e al fatto che serve fare tanti km per arrivare sui trail “giusti”. Forse se trovassi qualcuno pari livello – o meglio poco piu’ bravo/a di me – con cui mettersi in gioco e motivarsi a vicenda potrei fare qualche passetto avanti. Un ultima considerazione e’ quella “elettrica”. Puo’ sembrare una sconfitta ma potrebbe essere una rinascita, spero cmq a breve di avere il budget per “elettrificarmi”. Ormai la direzione della mtb “just 4 fun” e’ quella elettrica, chi continua a pedalare con le proprie gambe e’ sempre piu’ spesso un atleta, ex atleta o cmq persone con un certo tipo di allenamento e di background. E dato che per me il divertimento e il piacere di stare all’aria aperta viene prima di ogni cosa, cash permettendo, il futuro e’ segnato.

st anna last

(playlist best of 2019)

Apro una breve parentesi sull’ultimo giochino riscoperto, i pattini in linea: riesumati un po’ per caso e un po’ per impossibilita’ di usare lo skateboard causa mal di schiena, sono stati una piacevole riscoperta: basta davvero poco spazio e qualche conetto per mettersi in gioco cercando di imparare qualche trick. Ok, ovvio, ci andavo da ragazzina ad alti livelli, ma considerati tutti gli infortuni alle ginocchia che mi han fatto dimenticare le 8 ruote per piu’ di 20 anni direi che e’ un buon risultato. Inoltre il cimentarsi nei trick aiuta a migliorare equilibrio e propriorecettivita’ in generale, trovando delle utili applicazioni ad esempio, quasi per assurdo, nel surf da onda (longboard)

(video coni ista chiavari)

Terminiamo la rassegna con la protagonista di questi ultimi giorni, ovvero lei, la Splitboard. E qua, ancora una volta sento piu’ che mai il forte legame che ho con queste montagne. L’aver assistito nei giorni scorsi ad un breve corso di sicurezza in caso di valanga ha ulteriormente aumentato in me la consapevolezza che e’ solo grazie alla conoscenza che ho del territorio che mi posso permettere di andare a spasso da sola con una tavola che si divide in due e ti permette di salire per pendii incontaminati alla ricerca di pace, e di una bella linea da tracciare in discesa. Anche qua, la priorita’ e’ il divertimento e l’outdoor, l’immergersi nella natura, l’andare per boschi. Per quel che mi riguarda ha poca importanza “quanti” d+ riesco a guadagnare, meglio poco ma buono e in sicurezza che andare a correre inutili rischi. Non parlo solo delle valanghe, ma di tanti altri piccoli inconvenienti che possono capitare girando in terre sconosciute, dallo sbagliare strada (d’inverno il gps aiuta ma non e’ garanzia di non perdersi) al finire in un fosso al ritrovarsi con qualche problema tecnico alla split in posti dove il cellulare non prende. D’accordo, molti mi dicono che sono matta a girare da sola nel backcountry. Intanto mi fido di piu’ di me stessa e delle mie montagne che non di inserirmi in gruppi di sconosciuti, di cui reciprocamente non conosciamo il livello reale, con il duplice rischio di essere “problematica” in quanto lenta (anche qua il mio allenamento e’ quel che e’, siamo su una VAM di circa 300-350 d+/ora a seconda del terreno) e sopratutto di non saper gestire certe situazioni e certi tipi di neve, oltre al non aver alcuna intenzione di confrontarmi con componenti piu’ prettamente “alpinistiche” ove diventa necessario l’uso di ramponi e talvolta pure picche. Bene, saro’ anche una “montanara della mutua”, ma non sono assolutamente attratta da quel tipo di discorso, come non sono attratta da canali, ripido ecc. Lo snowboard per me e’ surfare linee di neve. La splitboard e’ uno strumento per raggiungere la “mia” lineup innevata. Il resto lasciamolo ai pro. Thats’it, that’s all.

(video insta split champlas)

Tirando le somme, questo 2019 e’ stato un anno di transizione. Di consapevolezza che devo trovare una strada che mi porti via dalla Capitale. Il mio mondo e’ outdoor, prevalentmente tra i monti.
Mi piace esplorare, conoscere posti nuovi, lo stare a Roma cmq mi ha dato opportunita’ di vedere, sopratutto in bici, localita’ improbabili e molto diverse dal contesto alpino con comunque un certo fascino, di surfare onde qualitativamente alte senza fare piu’ di 1h di macchina, di fare snowboard in un contesto completamente diverso da quello che conosco e in cui sono cresciuta.
Non riesco a concepire un evoluzione quando sei costretto a passare gran parte del tempo in macchina per poterti dedicare alle tue passioni. Per non parlare del fatto che tutti questi spostamenti “inutili” di certo non fanno bene al pianeta. Ricordiamoci che se nevica sempre meno e se gli inverni sono sempre piu’ caldi e’ anche grazie ai km che facciamo usando veicoli che inquinano.
Poter uscire in bici a km0, surf quasi a km0, e dovermi spostare solo d’inverno per fare snow ma potendo comunque contare su una “base” qua in Valle e’ ben diverso.E’ un piccolo passo, di difficile attuazione, ma da qualche parte bisognera’ pure cominciare.

Buon 2020 a tutti, piu’ o meno “non normali”, nell’augurio di poter continuare il piu’ a lungo possibile ad inseguire le proprie passioni.
Life is too short, dont’waste it, go riding !

Mtb: Monte Soratte

AM – Enduro sul Soratte

Il Monte Soratte e’ un’altura di 690 mt slm a Nord di Roma, che si eleva solitaria dalla Valle del Tevere. Questo particolare rilievo ospita nella sua parete sud un sistema di gallerie risalenti al 1937 ad uso rifugio militare … ma offre anche alcuni interessanti trail affrontabili in mtb. Andiamo dunque a vedere cosa ci aspetta, stavolta in compagnia degli Elettrici Guido e Giuseppe.
Partiamo da Sant’Oreste, caratteristico borgo situato sulle pendici del monte, e da qua saliamo con una ripida cementata (pendenza media 14%) fino alla chiesa che si trova poco sotto la vetta …
La salita e’ davvero ripida, io uso le mie gambe senza aiuti, e comunque arrivo in qualche modo in cima con qualche brevissimo pezzo a spinta per recuperare.
Da qua tocca spingere ancora pochi metri per raggiungere l’eremo di San Silvestro, costruito proprio in cima al monte, da cui si gode di una vista a 360 verso le pianure sottostanti.

top soratte

Si cambia assetto e si scende. Prima parte, la stessa fatta in salita a spinta, e’ un susseguirsi di rockgarden molto divertenti che ci riportano con scalinata finale al piazzale della chiesa. Da qui con un po’ di ravanaggio imbocchiamo il primo trail , breve ma tutt’altro che semplice almeno per me, Il fondo di queste zone e’ molto diverso da queii su cui ho girato negli ultimi tempi. E’ un mix di terra non particolarmente grippante, pietre fisse e pietre rotolanti. Sono sopratutto queste ultime a darmi molta noia e a togliermi sicurezza. Comunque riesco a chiudere buona parte dei passaggi, inclusi alcuni tornanti poco intuitivi.

 

Si spunta alla cappelletta gia’ incrociata in salita, di qua si prosegue con un trail che mantiene piu’ o meno lo stesso genere, forse poco poco piu’ flow in alcune parti. Purtoppo le complicazioni sono date dalla vegetazione a tratti fitta e per niente amichevole (rovi e altre piante spinose), fino a sbucare su una sterrata mezzacosta che ci riportera’ a Sant’Oreste.

Da qua con un po’ di ravanaggio troviamo l’imbocco del successivo trail. L’incipit non e’ dei piu’ invitanti, una scalinata in terra-tronchi molto stretta, che nessuno di noi osa rischiarsi. Poi un trail piu’ o meno simile ai precedenti, con sempre la vegetazione a farla da padrona … dopo un po’ il trail s’allarga e diventa una specie di sterratone (forse evitabile), che culmina con un ripido con due enormi canaline pronte a mangiarmi a colazione. Giuseppe mi costringe a provarlo. Con molta paura passo in mezzo alle canale e lo chiudo. Non e’ niente di difficile ma se per qualunque cosa stupida la ruota va dove non deve non e’ bello. Per farmi passare le mie fobie lo ripeto una seconda volta, ma ancora non mi sento tranquilla e sicura in tali circostanze.

Purtoppo ora non ci resta che risalire su strade asfaltate secondarie , anche queste con alcuni strappi oltre il 10%. Fortunatamente stavolta arriva in soccorso la “cima di recupero”, e Giuseppe “spartisce” con me un po’ dell’assistenza della sua Levo trainandomi fino al centro storico del paese.

st oreste soratte

Concludendo: Location particolare non troppo distante da Roma, sentieri interessanti sopratutto la parte alta, panorama e contesto naturale piacevole. Salite hardcore ma essendo cementate si pedalano (a fatica per me). Un ringraziamento a Roberto Taccio per averci fornito la traccia del giro e averci garantito la percorribilita’ dei sentieri, che non essendo molto frequentati sono facile preda della vegetazione.

EDIT del 28-10-19: Sono tornata sul Soratte in compagnia del “local” Taccio e altri amici , facendo lo stesso giro ma optando per una risalita piu’ lunga, tranquilla e panoramica, e aggiungendo alcune brevi varianti per fare visisita ad alcuni Eremi e avvicinarsi ai particolarissimi meri, vere e proprie “voragini” di origine carsica che sembrano addentrarsi fino al centro della Terra. In conclusione, la risalita ci porta nei pressi del famoso Bunker, ove si attraversa un vero e proprio museo a cielo aperto con esposti svariati mezzi bellici.  Varianti consigliatissime per chi, oltre a divertirsi sui trail (che purtoppo con l’umidita’ diventano almeno per me piuttosto complessi) conoscere le particolarita’ storiche e naturalistiche della zona.

Qualche foto del giro “lungo”

meri1
nei pressi dei “meri”

eremo inside
dentro la cripta ..

meri 2
Uno dei meri … brr

eremo 2

carro armato
carro armato in mostra vicino al bunker

 

soratte 1
lungo la risalita

st oreste
st oreste

eremo
resti di un eremo incastonato nella roccia..

soratte
panorama dalla cima

missile bunker
nei pressi del bunker …

io
fine giro

Traccia giro corto (salita hard):
GPSies - Soratte EnduroSoratte enduro

Traccia giro lungo (risalita soft e varianti panoramiche
GPSies - Soratte Enduro Panoramico

Infernet 2019 bagnato

Infernet (+ Janus) Bagnato, Infernet Fortunato !!!

Ogni location dove le mie ruote lasciano un segno ha un suo trail “must”, uno di quelli che “se passi di qua devi farlo“.
Per quanto riguarda l’estremita’ piu’ a nord ovest del nostro Paese, il “must” e’ il SingleTrack de l’Infernet , gia’ in territorio francese, tra Monginevro e Briancon. Ne abbiamo gia’ abbondantemente parlato, ma vale sempre la pena tornarci, sopratutto in compagnia.
In realta’ e’ comunque un giro che almeno 1 volta l’anno va fatto. La discesa e i suoi eterni tornantini vale la salita, che puo’ anche essere dimezzata con recupero auto, e ridotta ulteriormente  utilizzando la seggiovia.

Ci sono 2 modi pedalati per salire all’Infernet, quello lungo passando dai forti e dalla cementata militare (giro del 2017) oppure da La Vachette attraverso le forestali. Il primo sviluppa 1200, il secondo poco piu’ di 1000. Il primo e’ mediamente sempre faticoso e non molla, il secondo, una volta raggiunto Monginevro diventa molto pedalabile. Ed e’ con questo secondo metodo che comunque qualche giorno fa me lo sono pedalata, godendomi una discesa piu’ sporca e scavata rispetto allo scorso anno con Angela, ma comunque sempre super divertente e “remunerativa”.

Coincidenza vuole che stavolta le mie ruote si incrociano con quelle di Michela e Sergio, istruttori della ASD RomaMtb in vacanza nel Brianconnais in questi giorni. E dunque disponendo di due veicoli organizziamo il recupero, e perche’ no, meccanizziamo pure altri 300 metri con la seggiovia del Chalmettes, e dai 2097 della base alta degli impianti saliremo ai 2400 del Col du Gondrand prima, e ci allungheremo anche fino al forte Janus per godere di una splendida vista a 360 su tutte le vallate circostanti. Io ci arrivo a spingismo ma poco importa. Valeva la pena lo sforzo.

janus 1 janus 2 janus 3 janus 4

E ora si scende. Io rientro per la via di salita, i due soci si avventurano per un taglio in cresta indicato come trail running. Ricomposto il gruppo e lasciato il mezzacosta sassoso sul versante di Cervieres, attacchiamo con il single de l’infernet. Umido, molto umido piu’ dell’altro giorno. Radici e pietre viscide ci mettono alla prova, ma eccezion fatta per alcuni punti dove addirittura l’acqua creava rigagnoli nelle canale, il sentiero e’ rimasto piu’ che fattibile, offrendo un terreno “sfidante”  per aumentare il proprio confidence level.

corners infernet

(video 2019)

Come sempre grande soddisfazione una volta portato a conclusione, una ottima palestra per imparare a curvare nello stretto, senza mai trovarsi in situazioni rischiose o esposte.
Insomma se vi piacciono i tornantini, o se questi sono il vostro punto debole l’Infernet e’ il posto dove fare pratica e imparare a farci i conti. Tutti i tornanti si chiudono tranquillamente in sella senza necessariamente padroneggiare il nosepress … dunque davvero un bel divertimento per gli amanti del genere…. astenersi amanti del flow veloce, dello spondato e del “man made” in generale ….

Un ultima nota riguarda il livello di difficolta’ del trail: il libro Western Trail lo identifica S3. Le paline VTT FFC lo identificano nero. Anche se quest’anno (2019) e’ palesemente piu’ scassato dello scorso (2018) e’ ben lontano sia dalla definizione “black diamond” di Trailforks che all’S3 della scala Singletrack tedesca. Io direi un S2 con qualche punto S3, con i colori direi rosso pieno per la classificazione francese e blu ad orientamento AM per la scala di Trailforks.
Il mio consiglio e’, se avete un buon controllo della bici nello stretto e una guida mediamente precisa non fatevi spaventare dal “colore” o dalle definizioni e provatelo. Potreste appassionarvi ai tornantini 😉

Si Ringraziano Sergio e Michela di RomaMTB per la compagnia e la logistica del recupero 😉

Per la traccia GPX potete fare riferimento a quella presente nell’articolo dello scorso anno.