Dopo 5 giorni consecutivi di maltempo e nevicate, la Befana porta un po’ di sole. Il tempo stringe, e il rientro nel mio “mondo reale” e’ purtroppo sempre piu’ vicino, ma la neve e’ tanta e bisogna sfruttare assolutamente queste ultime ore quassu’. Destinazione dunque rifugio Rey e le vecchie piste di Beaulard, partenza da Chateau e rientro con recupero su Beaulard: in sintesi circa 700 d+ a fronte di ben 1000 d- . Parto da Chateau attorno alle 9.30. Fa freddo quanto basta. E’ davvero tantissimo tempo che non faccio questo giro. L’ultima volta risale ad una vita fa, un periodo non ben quantificabile di tempo, ancora con ciaspole e la “croce” a spalle. Se con le ciaspole la via + breve e’ quella del sentiero pedonale, con la split non e’ cosi’: si segue la linea degli skialper, quindi linea di salita e linea di discesa che in questo caso coincidono, passando per la vecchia pista e poi raccordandosi al rifugio Rey. Come sempre, i primi 40 minuti per me sono quelli piu’ faticosi, ci metto sempre un po’ a capire il mio passo e a stabilizzare la FC senza che schizzi a 170 al primo muretto. Il paesaggio e’ davvero fiabesco, con gli alberi imbiancati come non li vedevo da tanto tempo. La linea di salita e’ buona, ma la pista, come c’era da aspettarsi e’ gia’ mediamente tritata. Non mi scoraggio perche’ conosco bene il posto e so come funziona. E infatti arrivati al Rifugio Rey le tracce si dimezzano, facendomi gia’ immaginare dove mettero’ la firma. (foto fino al Rey)
La traccia di risalita continua sempre buona, rispetto ad “una vita fa” la vegetazione si e’ ampiamente ripresa i suoi spazi, costringendo a tagli per il bosco aziche’ seguire beceramente quella che negli anni 80 era una pista. Il tracciato alterna pezzi piu’ ripidi ad altri dove molla, ma resta sempre fattibile in sicurezza senza traversi o curve impossibili. In due ore arrivo alla garitta della stazione di monte dello skilift (che non esiste assolutamente piu’) , quasi ai piedi dell’imponente Grand Hoche, mi fermo poco piu’ sopra e mi preparo a ricongiungere la splitboard e ad affrotare un pendio dalla neve perfetta.
Gia’ dalle prime curve la cosa e’ chiara: tanta, fredda, bella. Rimpiango un po’ il freeridone Dupraz, la split e’ un 154 e restera’ sempre e comunque un compromesso, e quando c’e’ “misura” tocca arretrare e caricare tanto il tail. Ma va bene uguale, e si continua a scendere alternando boschetti con a tratti qualche passaggio un po’ chiuso ad ampi pendii dove la pista e’ rimasta tale. In pochi minuti sono dinuovo al Rey, molto soddisfatta della prima parte di discesa.
Un breve raccordo che in snowboard richiede un tratto a piedi mi porta all’inizio della pista di rientro a Chateau. Qua c’e’ poco di buono rimasto, e tocca un po’ ravanare negli angolini per farsi ancora un po’ di spazio. La musica cambia dinuovo una volta in vista dell’abitato di Chateau: il bosco lascia spazio ad ampie praterie, dove c’e’ tutto lo spazio per esprimersi, a patto di trovare la linea che abbia una pendenza accettabile per prendere velocita’. Lasciato alle spalle Chateau non ci resta che il rientro su Beaulard, anche qua si ricava ancora qualche spazio tra i prati, per poi concludere su una classica strada di rientro innevata, strada che tra l’altro ho percorso anche in ebike, da seguire fino a valle dove un tempo partiva la seggiovia.
Una giornata da 10 e lode, l’attesa che le condizioni arrivassero e’ stata ricompensata. In una stagione strana come questa la split (o gli sci da skialp per chi e’ “bipede”)diventa lo strumento indispensabile per godere di tutte quelle sensazioni che solo la Montagna puo’ regalare.
Vi lascio al video della discesa fino al Rey + prati sopra Chateau.
In questo strano anno che a brevissimo si concludera’ non e’ assolutamente semplice scrivere la consueta riflessione. La speranza per tutti e’ in un 2021 che ci riporti verso la normalita’, intesa come il recupero completo delle proprie liberta‘. Forse, per una volta, in questo strano 2020, gli anormali come la sottoscritta hanno avuto una marcia in piu’. I solitari, quelli che alle 22 sono gia’ a letto, quelli che preferiscono gli elementi della Natura a centri commerciali e palestre, hanno indubbiamente retto meglio dal punto di vista psicologico alle limitazioni imposte dai vari dcpm, con buona pace di coloro che durante il primo lockdown additavano runner e bikers come untori. Ho avuto la fortuna di cambiare casa in tempo, e di passare i due mesi di “arresti domiciliari” avendo a disposizione un cortile di discrete dimensioni nel quale giocare come se fossi tornata bambina (ma forse lo sono sempre stata), con la bici, i pattini e lo skate. Proprio come quando, da bambini, ci venivano “imposti” dei confini oltre i quali non allontanarsi (“non andare sullo stradone che ci sono le macchine”).
E’ stato l’anno in cui poco prima del lockdown ho rimesso sulla neve la Dupraz, e’ stato l’anno in cui ho preso le distanze dal surf, l’anno in cui ho dimostrato a me stessa che allenandomi posso essere meno pippa in bici in salita, ma che senza costanza si ritorna pippa alla velocita’ della luce. E’ stato l’anno in cui e’ arrivata la prima ebike, con la quale ho un rapporto ancora controverso, controverso al punto da volere a tutti i costi anche un mezzo a “propulisione umana” e di assemblare una front un po’ cattivella (il #frontinorosso) in cucina.
E’ stato l’anno in cui l’ignoranza e la cattiveria sui social la han fatta da padrone, consolidando ancor di piu’ la mia avversita’ per l’omologazione e rendendomi sempre piu’ fiera della mia non normalita’. Ed e’ appunto per questo che i non normali, quelli strani, quelli che trovano piacere e soddisfazione da cose diverse, quelli per cui la famiglia del mulino bianco e’ l’ultimo dei desideri, quelli per cui conta di piu’ la sostanza che l’apparenza, quelli che vogliono essere apprezzati per quel che fanno e pensano e non per il loro aspetto fisco(indipendentemente dal genere), quelli che fanno dell’indipendenza sia economica che affettiva che intellettiva il proprio credo, forse stavolta sono stati addirittura invidiati da quel resto del mondo a noi incompreso. Da quel resto del mondo che forse, almeno in parte, ha provato, per forza di cose ad uscire dai centri commerciali e a fare due passi nel verde, ad avvicinarsi a sport diversi dai soliti.
Fermo restando che spero, come tutti, in un rapido ritorno alla liberta‘, questo periodo credo abbia portato tutti quanti a riflettere, e a capire cosa sono le cose davvero importanti per ciascuno, e magari a ricominciare ad apprezzare le cose semplici.
Sono cosciente che piu’ passa il tempo piu’ sara’ difficile “resistere”, lottare contro la vecchiaia che avanza, e contro gli stereotipi che mi vorrebbero in ben altra situazione e non in quella di continuare a seguire le proprie passioni, sognando magari di riuscire un giorno a renderle “autosostenibili“.
C’e’ tanto da fare, e se non sono sola nell’universo poco ci manca.
O meglio … senza “risalite meccanizzate“, senza impianti di risalita …
Questa e’ la prospettiva che ci riserva l’ “era del covid”. Il problema non mi riguarda (fortunatamente) troppo da vicino, ma ripercorrendo la mia storia non oso immaginare quanto avrei dato di matto se una simile cosa fosse successa nei primi anni 2000 , quando lo snowboard era la mia vita, e quando ho inseguito in vano il sogno di farlo diventare un lavoro. Ora la montagna la guardo da un’altra prospettiva, e da felice splitboarder sono altre le cose che mi turbano. Gia’, perche’ come la chiusura delle palestre e l’impossibilita’ di praticare alcuni sport ha portato, complice il bonus bici, ad un aumento dei bikers sui sentieri, questa chiusura (o meglio non-apertura) rischia di portare all’avvicinamento al Backcoutry (sia esso snow-alp o ski-alp) soggetti che forse non si sono mai allontanati nemmeno dal bordo-pista, pur di fare “qualcosa” sulla neve.
Al momento, parlo esclusivamente per quel che riguarda la mia Valsusa e quello che e’ in grado di offrire. Per quel che concerne l’Appennino il discorso e’ molto + complicato, ma credo che viste le “forme di localismo” – perdonatemi il termine – ne giuste ne sbagliate che caratterizzano il contesto skialp del centro italia e il fatto che non esiste una vera “vocazione turistica invernale” in gran parte delle stazioni, il problema semplicemente non esistera’ o quasi. Torniamo quindi alla mia Valle. Qua abbiamo circa 5 (forse anche di piu’ , in base alla quota neve) itinerari skialp/snowalp easy seguibili con facilita’ anche senza gps se si conosce un minimo l’orografia della zona. A questo si aggiungerebbe la possibilita’ di salire lungo le piste chiuse se non sara’ interdetta.
Ora, gia’ in circostanze normali, itinerari facili come Cima Bosco possono risultare molto frequentati nei weekend, con difficolta’ di parcheggio (la montagna non attrezzata ha spesso spazi ristretti) e altre conseguenze. Avventurarsi nel backcoutry , lontano dagli impianti di risalita, implica la conoscenza di alcune regole, e sopratutto delle procedure di autosoccorso in caso di slavina, bisogna essere in possesso di ARVA, PALA, SONDA e saperli usare (sarebbe preferibile aver frequentato un corso, anche molto basilare), bisogna conoscere la location (o affidarsi a local/guide) e sapere quando si puo’ andare e dove, e quando non si puo’. E questa e’ la ragione per cui io giro soltanto nella mia Valle. Ho girato una sola volta in Appennino grazie ad un amico skialper che mi ha fatto da guida, ma da sola non mi avventuro ad esplorare ambienti a me pressoche’ sconosciuti. Lo skialp/snowalp non e’ la mtb, dove alla peggio giri le ruote e torni indietro. La montagna non perdona, e l’errore di un singolo rischia di colpevolizzare tutta la categoria, con il conseguente proliferare di divieti spesso privi di fondamento.
Io credo che la soluzione sarebbe una riapertura con skipass a numero massimo, acquistabili solo online in prevendita, favorire le stazioni dotate prevalentemente di seggiovie in modo da distribuire in modo ottimale gli sciatori/snowboarders , e vietare l’apertura di bar e ristoranti sulle piste. Forse anche un limite orario, del tipo sciare meno ma sciare tutti, con doppio turno mattiniero/pomeridiano , potrebbe essere un compromesso per aprire in sicurezza accettabile da tutti. Resta da vedere se ai gestori conviene, in quanto spesso uno ski-resort non campa sugli skipass staccati, ma grazie all’indotto portato, fatto ahime’ da tutte quelle attivita’ che sono per forza di cose causa di assembramenti e che per molti clienti sono piu’ “importanti” dello sciare in se (in primis penso al business degli inglesi a Sauze d’Oulx, immaginare Sauze senza gli inglesi nei pub e’ qualcosa di altamente strano) .
La situazione e’ complessa. Sara’ un inverno alternativo, molto alternativo. Vorrei solo raccomandarmi a chi, con questo “pretesto” degli impianti chiusi volesse avvicinarsi al backcountry, di farlo con il giusto spirito, rispetto e cognizione di causa. #staylocal #ridelocal .
Solo chi la ha vissuto, chi lo ha visto nascere, chi ci si identificia dall’inizio puo’ comprendere il significato totale di questo termine.
Credo di avere alle spalle circa .. piu’ di 25 anni di freeride. Con pause, alti bassi, allontanamenti, ma lo spirito nasce da li e li resta.
Ed e proprio stato l’andere via, il tentare qualcosa di diverso, l’allontanarsi da quella filosofia che alla fine mi ci ha ricondotto.
La bici, e ancora di piu’ l’ebike, assieme allo snowboard e sopratutto alla splitboard, mi han fatto trarre una conclusione pesante, ma reale.
Surfing is not freeride. Freeriders don’t surf.
Forse questa affermazione verra’ non condivisa e criticata da alcuni, e verra’ invece compresa da altri.
Per dare un senso compiuto al mio ragionamento, cerchiamo di capire cos’e’ il freeride dalle origini, nelle sue due grosse branche, quella invernale legata allo snowboard (e/o allo sci negli anni successivi, o meglio freeski) e quella legata alla mtb.
Wikipedia recita:
Il freeride, letteralmente guidare liberi, è la pratica ludica e soft degli sport di natura. Riguarda principalmente gli sport di movimento, dei quali sottolinea il contatto con la natura, gli spazi ampi e liberi, il divertimento, in alcuni casi l’importanza del gruppo, rendendo secondario l’aspetto agonistico e competitivo.
Se nello snowboard (e/o nello sci) questa definizione si traduce perfettamente nell’andare fuoripista, con o senza impianti, sempre alla ricerca di nuove linee e pendii da tracciare, nella MTB ha preso in passato alcune connotazioni tali da farla trasformare in una disciplina ben precisa, in cui viene valutato lo “stile” di una determinata discesa su un mix di terreno naturale e strutture costruite, allontanandosi in realta’ da quello che e’ il “freeride” dei comuni mortali, e lasciando spazio ad altre definizioni, tipo “all mountain” e “enduro” – quest’ultimo agli albori – parlo di meta’ anni 2000 quando veniva chiamato anche “Freeride pedalato”, e forse proprio questo freeride pedalato, andato a finire nel dimenticatoio, rappresenta quello che io e molti altri facciamo con la ebike: pedalarsi (aiutati) le risalite per godersi discese sfidanti e divertenti, e magari cercarne sempre di nuove. Un po’ proprio come d’inverno con la tavola o gli sci, quando si inizia ad uscire “fuori dal preparato”.
Questo per me e’ il significato di freeride: “fuori dal preparato, costruito”.
Spesso si cerca il legame tra snowboard e surf. Anche io del resto al surf ci sono arrivata dallo snowboard, perche’ volevo “capire dove tutto era iniziato”.
Una sorta di ricerca personale nel mondo dei boardsports, nel loro passato.
E posso reputarmi fortunata, per due motivi. Per una volta, l’essere “vecchi” e’ un bene, e sono felice di aver vissuto gli anni 90 e il primo decennio degli anni 2000.
Ci sono ancora alcune esperienze che mi mancano e che non so se riusciro’ a fare prima di morire, ma in snowboard posso dire di aver fatto tanto, ho lasciato il mio segno a la Grave e ho surfato powder a luglio a les2alpes. Ho tracciato sul ban per prima tante volte, ho trovato powder in momenti in cui non ci credevo piu’, ho visto la morte in diretta un paio di volte ma sono ancora qua. Ho ancora un sogno nel cassetto, quello almeno 1 volta nella vita di volare. (helisnow).
linee sul Fournier nella prima meta’ del 2000. Immagine di repertorio.il saltare in snow e’ quel che mi ha portato a saltare anche in bici
Ma non era abbastanza. Un qualcosa mi aveva richiamato alla ricerca delle origni degli sport di scivolamento. Da windsurfista fallita per tutta una serie di ragioni, un qualche legame con l’elemento liquido comunque lo ho sempre avuto, anche se sono cresciuta tra i monti. Cosi’ alla gia’ veneranda eta’ di 30 anni ho imparato a fare surf, e questo ha condizionato un po’ troppo la mia vita con il senno di poi.
Surf ma non solo. Una svolta epocola nella mia vita a 360 che parte dagli occhi e passa per il lavoro arrivando appunto al surf mi ha portato a “rotolare verso sud” e iniziare una “ricerca di un qualcosa che forse non c’e'”.
Dal 2013 sono ufficialmente piu’ o meno fissa nella Capitale, e dopo i primi anni di entusiasmo (oltre che aver imparato a fare surf ho anche imparato a costurire tavole da surf, cosa che mi piacerebbe riprendere a fare, molto piu’ del surf in se) da qualche tempo a questa parte, grazie fondamentalmente alla bici, ho ripreso coscienza di quello di cui mi stavo privando:
l’ebike permette accesso a tanto “freeride” … cambia il mezzo, ma non il concetto … off the ground …
IL FREERIDE
Il surf non e’ freeride. Forse ne condivide il “feeling” ma non lo spirito in se. Purtroppo ci sono voluti secoli perche’ mi entrasse in testa. O almeno, non lo puo’ essere x un comune mortale. E con l’affollamento degli spot non si puo’ assolutamente applicare una “pratica ludica e soft” al surf, e alle sue regole non scritte. Ecco parliamo di REGOLE. Una caratteristica di tutto quello che e’ freeride e’ proprio l’assenza di regole precise, tranne che quelle che detta Madre Natura. Non ci sono regole dettate dall’uomo se sto scendendo da un pendio innevato, le uniche regole sono quelle relative a pendenza, esposizione, tipo di stratificazione della neve. Le regole che devo conoscere per sapere dove andare. Tutto qui. Non ci sono precedenze. NO PRIORITY, questo e’ il freeride.
L’unica affinita’ che tiene e’ quella relativa alla ricerca della perfezione, perfezione che ha un valore del tutto personale. La linea in neve fresca perfetta, il trail perfetto, l’onda perfetta sono tutti valori soggettivi che possono cambiare in ogni rider.
Ultimo e non meno importante, si puo’ cercare di rinngeare le proprie origini, si puo’ cercare di sotterrarle, ma se si scopre poi che il “nuovo mondo” non ci appartiene non c’e’ verso.
Prima o poi le origini ricompariranno, e la voglia di ricominciare da “dove tutto e’ iniziato” sara’ piu’ forte che mai.
Non escludo comunque il dare qualche chance ancora all’h2o , ma con qualcosa di diverso che meglio rispecchi questo spirito …
NB: per chi non ha esperienze surfistiche, potrebbe essere un po’ complicato capire il senso di quest’articolo. Ad oggi inoltre i media offrono un immagine sempre piu’ deviata, distorta e surreale di quello che e’ il surf da onda. In Italia, il surf da onda, significa avere molta pazienza per poi essere al posto giusto nel momento giusto. Significa pero’ poi dover “lottare” assieme ad altri surfisti assatanati per avere i propri 10 -15 secondi di godimento assoluto. Questo perche’ la regola non scritta impone 1 surfista 1 onda, ma e’ giusto che sia cosi’ per poter fare curve e manovre in liberta’. Ma il surf non e’ democratico, vige la legge del piu’ forte, del local, del piu’ bravo, ecc ecc. Salvo rare eccezioni in alcuni spot che non lavorano spesso c’e’ da discutere, e per evitare incidenti sia fisici che diplomatici io preferisco evitare queste situazioni. E’ come se in un bikepark ci fosse un unico trail, adatto sia a pro che a principianti, senza possibilita’ di sorpasso, e i pro girassero ad oltranza a trenino su questo trail, impedendo di fatto ai principianti di provarlo. E’ un paragone un po’ forzato ma e’ l’unico che mi viene in mente.
Data da segnare sul calendario e da ricordare. Difficile esprimere a parole cosa significhi essere nel posto giusto al momento giusto. Non succedeva da tanto tempo, credevo che un Ban cosi’ potesse restare soltanto nei ricordi di facebook. E invece per tutta una serie di fortunate coincidenze la Powder, quella vera e’ tornata sul Ban. Il day before avevo gia’ girato in quel di Melezet, in compagnia di mio papa’ scegliendo la groomer (k2 carveair) come tavola. Scelta rivelatasi sbagliata, in quanto la neve era tanta e molto morbida, poco assestata e tendente a rovinarsi facile anche in pista. Le poche curve fuori parlavano chiaro: naso basso, ponte rigido e una piastra di carbonio sotto i piedi non erano lo strumento idoneo per le condizioni. Non ero abituata ad avere a che fare con neve abbondante e recente. Decido quindi di cambiare musica. In un primo momento ero orientata per la splitboard, ma l’assenza di report positivi in zona su Gulliver mi ha fatto desistere. A questo punto restava una sola soluzione: rimontare gli attacchi sul tavolone da freeride e andare a cercare fortuna sul Ban.
Il tavolone e’ una Dupraz D1, tavola artiginalale, 5.5 piedi , tradotto in cm 167 cm. Naso largo con una punta “spaccalastre” flex medio ponte classico round tail. Raggio di curva stretta, lamina effettiva corta e ponte classico.
Piazzale Difensiva alle 9.30 e’ quasi vuoto. Si sale, destinazione Ban, il punto piu’ alto del comprensorio dello Jafferau. Una cabinovia e due seggiovie mi porteranno lassu a quota 2700′, e piu’ salgo piu’ ho capito che stavolta ho fatto la scelta giusta e che questo giorno sara’ un gran giorno. Un mercoledi’ da leoni ma sulla neve.
Sono le 10 e qualcosa e attacchiamo con la prima run. Bastano gia’ due curve sul battuto per capire che ci siamo. Poi fuori lungo una linea addocchiata dalla seggiovia. E’ la mia montagna di casa, la conosco tutta, fossi, buche e pietre incluse. Il vento ha comunque lasciato delle irregolarita’, non tutte le classiche linee del Ban sono surfabili. Ma ce le faremo bastare, anche perche’ e’ davvero libero e pulito, pochissime tracce, cosa mai vista. Saranno almeno 10 anni, ma anche di piu’ credo, che non vedevo questo spettacolo.
L’apparentemente ingombrante tavolone fa il suo dovere: senza fatica e senza richiedere pressione sul piede dietro la tavola solca la neve fresca, assecondando ogni mio desiderio di curvare con affidabilita’ e precisone. La tavola galleggia tranquillamente, regalando quel surf feeling che solo un simile mezzo puo’ dare. Il resto, sono dettagli. C’e’ spazio ovunque per lasciare la propria firma in una neve quasi perfetta.
Dopo due run con linea simile decido di piegare piu’ a destra e di allungarmi fino a Fejusia. Nel bosco la neve ha fatto piu’ cumuli e a tratti e’ davvero abbondante, ma la Dupraz non delude e grazie alla sua mole riesco a divincolarmi anche in pendii meno aperti a velocita’ ridotte. La neve comunque in alto e’ piu’ secca e leggera, quindi torniamo sul Ban e continuiamo a lasciare il segno finche’ le gambe ne hanno. Sensazioni che non provavo da tanto e che stavo dimenticando. Sensazioni che sempre piu’ vanno memorizzate, stampate nella testa e ricordate, perche’ sara’ sempre piu’ raro trovare giornate come oggi. Il clima sta cambiando e gli inverni di una volta sono sempre piu’ rari.
Stanca ma felice ritorno alla macchina: a breve si ritorna a sud, lasciandomi alle spalle le mie montagne e le mie curve.
Le origini non si cancellano. Sono troppo legata a queste montagne che sia in versione invernale che estiva han tanto da raccontare.
Ho avuto la fortuna di crescerci e di poter godere di tutto quello che hanno da offrire.
Come sempre il rientro sara’ duro … sperando prima o poi di ritrovare il mio posto in questa valle.
L’ultimo giorno in Valsusa si chiude con una classicissima: Cima Bosco, gia’ esplorata in bici in versione estiva.
Per chi non la conoscesse, Cima Bosco e’ un must. Forse fin “troppo” un must, spesso presa d’assalto da una notevole varieta’ di amanti della montagna invernale, in quanto facile, senza particolari pericoli e molto panoramica. Sapevo che era una gita a “rischio”, sia per l’affollamento (si fa per dire, nulla di paragonabile alle problematiche del surf) con conseguenti problemi di parcheggio, che per la condizione della neve. Che sarebbe stata TANTO tracciata era gia’ messo in conto. Malgrado tutto volevo tornare a fare una super classica, la gita che forse ha fatto nascere la “dimenticata” (non mi va di darla per morta) VBA (Valsusa Backcountry Alliance), e l’unica di quest’anno assolutamente fuori dalle zone dei resort.
Stavolta non siamo su piste in abbandono ma su un terreno sul quale impianti non ce ne sono mai stati.
Partiamo da Thures, paesino costruito proprio sulle pendici di Cima Bosco. E’ abbastanza presto e fortunatamente trovo posto per la macchina in maniera piuttosto agevole.
Fa freddo, il paese e’ ancora in ombra, la strada e’ gelata e la neve pure: quest’ultima ha un aspetto crostoso che non promette bene.
Sono indecisa, ma ormai sono qua, ho parcheggiato bene, e non posso che sperare nel rialzo termico e in una trasformazione in firn con l’alzarsi della temperatura.
La prima parte della salita attacca subito cattiva con un bel muro che mette alla prova la mia tecnica ancora rudimentale. La split non ama le diagonali, va tenuta il piu’ piatto possibile in modo che le pelli facciano ben contatto con il terreno impedendo lo scivolamento. La traccia e’ battutissima, e in qualche punto (fortunatamente pochi) tocca prestare attenzione alle “buche” lasciate dai ciaspolatori per non trovarsi inaspettatamente senza aderenza. All’altezza delle grange “Croce Chalvet” il tracciato spiana e diventa piu’ agevole, seguendo indicativamente il sentiero estivo che ho percorso in bici in discesa. Si procede prevalentemente nel bosco su traccia ben battuta … ma purtroppo “ben battuto” e’ anche tutto il circondario. La neve e’ sempre dura, ma il sole inizia a far sentire la sua presenza e mi lascia sperare che, tempo di arrivare in cima e la situazione sara’ in qualche modo gestibile. Durante l’ascesa si alternano parti di bosco piu’ fitto con qualche radura, che lascia intravedere, sopratutto da oltre i 2000 slm, qualche sprazzo di spazio per tirare ancora due curve su neve decente sul versante alla mia destra (in direzione di salita)… spazi che diventano sempre piu’ ampi e interessanti all’aumentare della quota, aumentando anche la motivazione nel raggiungere la vetta.
E cosi’, dopo 2h15 circa di cammino su 700 d+, raggiungo la caratteristica cima, presidiata da una cappelletta dentro la quale si puo’ trovare riparo.
(foto)
Fa freddo e c’e’ parecchio vento. Giusto il tempo di riunire la split e ripartiamo. Si scende, come previsto, tutto a sinistra seguendo le zone meno tracciate.
(video discesa helmet cam)
E, gradita sorpresa, la neve e’ buona per gran parte della discesa, giusto qualche breve parentesi crostosa, ma per il resto prevalentemente farinosa e ottima.
Giusto gli ultimi metri han lasciato spazio a neve trasformata un po’ pesante, ma che comunque non ha creato alcuna difficolta’ alla split.
In breve purtoppo un ultimo traverso ci riporta a monte dell’abitato di Thures, dove tocca levare la split e raggiungere la macchina con qualche centinaio di metri a piedi.
Concludiamo dunque la permanennza in Valle con una Classica che non ha deluso, anzi ha stupito regalando una neve che, considerate le temperature dei giorni precedenti e l’assenza di precipitazioni, meglio non poteva essere nel range di quota di riferimento.
Lascio la Valle con dei bellissimi ricordi, soddisfatta piu’ che mai di questi giorni e dell’aver acquistato una splitboard. Il senso di liberta’ che da questo mezzo, una volta raggiunta la meta prestabilita e ricongiunte le mezze tavole, non ha paragoni. Ogni escursione ha un suo perche’ … ogni discesa viene firmata …. finche’ la traccia non verra’ cancellata da una nuova nevicata (si spera).
E da li si ricomincia, sperando di tornare presto a surfare le mie lineup innevate.
C’era una volta nel lontanissimo primo decennio degli anni 2000 un blog chiamato endlesswinter.
C’era una volta, associato a questo blog, un piccolo forum in cui avevo riunito un piccolo gruppo di appassionati di snowboard freeride & backcountry (tutto quel che non e’ piste e resort).
Ai tempi la splitboard non esisteva, o meglio, cominciavano a vedersi i primi embrioni, ancora macchinosi e dalle dubbie performance.
L’unico strumento per emulare i bipedi (gli sci-alpinisti…) erano le ciaspole e la tavola a spalle attaccata allo zaino (la “croce”…)
Il web 1.0, quello vero, genuino, non pilotato dagli algoritmi aveva permesso tutto questo.
Poi sono successe cose che mi han portato via dalla Valle e dalla neve per un po’. Non mi dilungo ma diciamo che “avevo un problema piu’ importante da risolvere”.
Ora, seppur ancora lontana, ho almeno una situazione lavorativa che mi permette di tornare qua piu’ spesso. E quest’anno, complice l’innevamento favorevole, siamo riusciti a rimettere assieme parte di quel che era la Valsusa Backcountry Alliance. E quindi eccoci qua: la sottoscritta, in compagnia di Dona, Luca, e il loro amico a 4 zampe Snou pronti a partire alla ricerca di qualche linea su cui lasciare il segno. Destinazione Genevris, o meglio Colle di Costa Piana.
Partiamo dall’istituto zootecnico, come gia’ sperimentato in solitaria qualche giorno prima. Gia’ dal primo incrocio con le piste in disuso si nota che la situazione purtroppo nei giorni e’ peggiorata, e che il numero di tracce presenti e’ almeno quadruplicato. Negli anni anche gli amanti del backcountry sono aumentati di numero, complice il “caro skipass”, la semplicita’ nel trovare informazioni sul web e la possibilita’ di seguire tracce gps con qualunque smartphone. Ce ne dobbiamo fare una ragione, comunque la qualita’ della neve pare buona, e proseguiamo, stavolta seguendo le ormai battutissime vecchie piste del Genevris.
All’altezza dello sgabbiotto dello skilift di Costa Piana, il bosco si dirada e iniziamo ad avere un quadro della situazione. E’ tutto estremamente ravanato, ma verso il colle di Costa Piana sembra piu’ pulito. La neve e’ stabile e c’e’ una buona traccia che segue appunto la linea dell’impianto in disuso. Optiamo per seguirla, e iniziamo gia’ a immaginare quali saranno le nostre linee in discesa, perlomeno sulla parte alta.
Tiriamo su ancora qualche metro, fino ad arrivare poco sopra il colle di CostaPiana, all’attacco del sentiero di cresta che conduce in cima al Genevris. Inutile andare oltre, in quanto piu’ saliamo e piu’ la crosta ventata ha la meglio sulla powder, quindi dopo 530 d+ cambiamo setup e iniziamo la discesa.
Come previsto, la linea scelta non delude. Ognuno trova ancora un po’ di spazio per lasciare la propria firma.
Nella parte bassa purtoppo gli spazi si riducono, probabilmente all’attraversamento dello skilift avrei dovuto optare per un lungo taglio alla ricerca di una linea piu’ pulita verso destra..
Ma va bene uguale … Considerato che ormai sono passati almeno 15 giorni dall’ultima nevicata non ci lamentiamo.
(video)
E la cosa piu’ imporante e’ che ci siamo ancora, e che dopo piu’ di 10 anni abbiamo ancora piu’ voglia di surfare le nostre montagne.
La nostra line-up e’ qui. C’e’ un po’ da faticare per raggiungerla, e magari non sempre sara’ perfetta, ma e’ sempre un grande piacere lasciare il segno con le nostre tavole.
VBA lives !
Speriamo di ripetere presto. Surfare le montagne di casa con gli amici non ha prezzo.
Se c’e’ una cosa che ha fatto da padrona in quest’anno e’ la paura di invecchiare.
La paura di essere troppo vecchia per fare questo, quest’altro, quest’altro ancora.
Dove questo e’ la bici, quest’altro e’ il surf, quest’altro ancora e’ lo snowboard, e poi aggiungiamoci ancora la crisi di infantilismo con i pattini in linea.
Mi fa profondamente male dirmelo, ma sto vivendo una seconda adolescenza.
Da over 40, sto rivivendo in un altra ottica e con problematiche diverse (ma sostanzialmente simili) gli stessi problemi che avevo quando avevo 15 anni.
Per farla breve, l’essere semplicemente me stessa, peccato che questa “me stessa” sia un qualcosa di diverso da quello che la societa’ vuole farci essere e da quello che e’ il comune conformismo.
Aggiungiamoci l’essere attualmente prigioniera in una citta’ con cui non ho nulla da spartire se non il fatto che ho un lavoro che cmq mi piace ed e’ coerente con i miei studi.
Ma non e’ cmq il lavoro della mia vita … o meglio diciamo che se potessi riprodurre la mia situazione attuale in uno dei due posti che chiamo casa (uno e’ la liguria di Levante, l’altro e’ qua, l’alta Valsusa) potrei tranquillamente continuare a vivere felice godendo delle bellezze offerte dal territorio e raccontandole qua sul blog.
Purtoppo, non e’ cosi’, o non lo e’ al momento. In questo 2019 che sta per concludersi ho fatto alcune scelte, ho cercato di lavorare sul mio livello in bici, ho anche raggiunto un certo traguardo che consideriamo per ora “congelato”, continuando a fare continuamente i conti con il mondo circostante e una realta’ che non mi appartiene.
Sono tante piccole cose, che messe tutte assieme creano una situazione di non facile (di)gestione.
La maggior parte dei miei coentanei e’ “sistemata”. Molti sono “sistemati a dovere”, ovvero hanno figli. Molti fanno “salti mortali” per continuare a dedicarsi alle proprie passioni.
Alcuni cercano, quando possibile, di trasmetterle alla nuova generazione. Cambiano le esigenze, posso capirlo credo cambi tutto.
E invece io sono ancora qua, a giocare con la biciclettina, con il surf, con “lo snowboard che si trasforma in due sci” e con i pattini.
E voglio continuare a giocarci piu’ a lungo possibile. Ho la sindrome di peter pan, lo so, mi piacerebbe prima o poi che uno di questi giochini (quello che so utilizzare meglio …) potesse permettermi di fare un qualcosa di diverso anche lavorativamente parlando, ma la cosa non e’ cosi’ semplice e, inoltre, lo spettro di “non essere piu’ in tempo” continua a infastidirmi con la sua presenza.
Ad ora non posso fare altro che giocare il piu’ possibile all’aria aperta nei miei playground; le montagne per quanto riguarda bici e snowboard, e il mare per quel poco surf che continuo a fare.
Gia’ il surf, e il mio rapporto di amore e odio per questa attivita’. Ho concluso l’anno con un periodo “surf positive”, dove sono stata fortunata con alcune belle giornate di onde adatte al longboard e a quel che cerco di farci. Sto cercando, per quanto possibile, di darmi degli obiettivi tecnici per trovare uno stimolo a migliorarmi e entrare in acqua, cercando di dimostrare che anche una vechia gallina, a tratti goffa e senza il fisico da top model, puo’ fare surf (longboard) in maniera dignitosa.
Il fisico da top-model ecco: ne avevo gia’ parlato su facebook, ma questo estremismo sessista che caratterizza l’immagine che viene propinata mediaticamente del surf, proprio non riesco ad ingurgitarlo.
Nel nostro mare non e’ considerabile uno sport, la frequenza delle mareggiate e l’affollamento fanno si che l’energia necessaria per surfare con un longboard, una volta apprese le basi, sia davvero poca.
Un discreto nuotatore con un buon equilibrio e una discreta forza esplosiva impara a surfare tranquillamente senza troppi impedimenti. Ma poi tocca scontrarsi con tutta una serie di cose e di meccanismi poco compatibili con chi, come me, ha bisogno in primis di pace e di trovare la giusta sintonia con gli elementi. Se fare surf deve essere come andare all’ikea, allora non ci siamo. E non mi dilungo in ulteriori analisi perche’ tanto, quello dell’affollamento e’ un problema senza soluzione.
Passiamo alla bici: annata che definirei con alti e bassi, fortunatamente senza infortuni. La nota positiva e’ stata quella di aver trovato, finalmente, anche in centro Italia un’altra ragazza (Laura) con cui condividere buona parte delle mie follie e a cui cercare di trasmettere il mio know how (foto) e addirittura far conoscere la mia Valle.
Tecnicamente parlando, e’ stata una fase un po’ a corrente alternata, sia per la forma fisica che per la tecnica in discesa. C’e’ tanto da lavorare, e vorrei riuscire ad avere una maggiore continuita’ sui tracciati tecnici tipo quelli Liguri. La cosa finche’ saro’ a Roma, costretta a macinare km, senza essere “local” di un bel niente, non sara’ semplice per 1000 ragioni legate piu’ che altro alla logistica e al fatto che serve fare tanti km per arrivare sui trail “giusti”. Forse se trovassi qualcuno pari livello – o meglio poco piu’ bravo/a di me – con cui mettersi in gioco e motivarsi a vicenda potrei fare qualche passetto avanti. Un ultima considerazione e’ quella “elettrica”. Puo’ sembrare una sconfitta ma potrebbe essere una rinascita, spero cmq a breve di avere il budget per “elettrificarmi”. Ormai la direzione della mtb “just 4 fun” e’ quella elettrica, chi continua a pedalare con le proprie gambe e’ sempre piu’ spesso un atleta, ex atleta o cmq persone con un certo tipo di allenamento e di background. E dato che per me il divertimento e il piacere di stare all’aria aperta viene prima di ogni cosa, cash permettendo, il futuro e’ segnato.
(playlist best of 2019)
Apro una breve parentesi sull’ultimo giochino riscoperto, i pattini in linea: riesumati un po’ per caso e un po’ per impossibilita’ di usare lo skateboard causa mal di schiena, sono stati una piacevole riscoperta: basta davvero poco spazio e qualche conetto per mettersi in gioco cercando di imparare qualche trick. Ok, ovvio, ci andavo da ragazzina ad alti livelli, ma considerati tutti gli infortuni alle ginocchia che mi han fatto dimenticare le 8 ruote per piu’ di 20 anni direi che e’ un buon risultato. Inoltre il cimentarsi nei trick aiuta a migliorare equilibrio e propriorecettivita’ in generale, trovando delle utili applicazioni ad esempio, quasi per assurdo, nel surf da onda (longboard)
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Terminiamo la rassegna con la protagonista di questi ultimi giorni, ovvero lei, la Splitboard. E qua, ancora una volta sento piu’ che mai il forte legame che ho con queste montagne. L’aver assistito nei giorni scorsi ad un breve corso di sicurezza in caso di valanga ha ulteriormente aumentato in me la consapevolezza che e’ solo grazie alla conoscenza che ho del territorio che mi posso permettere di andare a spasso da sola con una tavola che si divide in due e ti permette di salire per pendii incontaminati alla ricerca di pace, e di una bella linea da tracciare in discesa. Anche qua, la priorita’ e’ il divertimento e l’outdoor, l’immergersi nella natura, l’andare per boschi. Per quel che mi riguarda ha poca importanza “quanti” d+ riesco a guadagnare, meglio poco ma buono e in sicurezza che andare a correre inutili rischi. Non parlo solo delle valanghe, ma di tanti altri piccoli inconvenienti che possono capitare girando in terre sconosciute, dallo sbagliare strada (d’inverno il gps aiuta ma non e’ garanzia di non perdersi) al finire in un fosso al ritrovarsi con qualche problema tecnico alla split in posti dove il cellulare non prende. D’accordo, molti mi dicono che sono matta a girare da sola nel backcountry. Intanto mi fido di piu’ di me stessa e delle mie montagne che non di inserirmi in gruppi di sconosciuti, di cui reciprocamente non conosciamo il livello reale, con il duplice rischio di essere “problematica” in quanto lenta (anche qua il mio allenamento e’ quel che e’, siamo su una VAM di circa 300-350 d+/ora a seconda del terreno) e sopratutto di non saper gestire certe situazioni e certi tipi di neve, oltre al non aver alcuna intenzione di confrontarmi con componenti piu’ prettamente “alpinistiche” ove diventa necessario l’uso di ramponi e talvolta pure picche. Bene, saro’ anche una “montanara della mutua”, ma non sono assolutamente attratta da quel tipo di discorso, come non sono attratta da canali, ripido ecc. Lo snowboard per me e’ surfare linee di neve. La splitboard e’ uno strumento per raggiungere la “mia” lineup innevata. Il resto lasciamolo ai pro. Thats’it, that’s all.
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Tirando le somme, questo 2019 e’ stato un anno di transizione. Di consapevolezza che devo trovare una strada che mi porti via dalla Capitale. Il mio mondo e’ outdoor, prevalentmente tra i monti.
Mi piace esplorare, conoscere posti nuovi, lo stare a Roma cmq mi ha dato opportunita’ di vedere, sopratutto in bici, localita’ improbabili e molto diverse dal contesto alpino con comunque un certo fascino, di surfare onde qualitativamente alte senza fare piu’ di 1h di macchina, di fare snowboard in un contesto completamente diverso da quello che conosco e in cui sono cresciuta.
Non riesco a concepire un evoluzione quando sei costretto a passare gran parte del tempo in macchina per poterti dedicare alle tue passioni. Per non parlare del fatto che tutti questi spostamenti “inutili” di certo non fanno bene al pianeta. Ricordiamoci che se nevica sempre meno e se gli inverni sono sempre piu’ caldi e’ anche grazie ai km che facciamo usando veicoli che inquinano.
Poter uscire in bici a km0, surf quasi a km0, e dovermi spostare solo d’inverno per fare snow ma potendo comunque contare su una “base” qua in Valle e’ ben diverso.E’ un piccolo passo, di difficile attuazione, ma da qualche parte bisognera’ pure cominciare.
Buon 2020 a tutti, piu’ o meno “non normali”, nell’augurio di poter continuare il piu’ a lungo possibile ad inseguire le proprie passioni.
Life is too short, dont’waste it, go riding !
Le vacanze di Natale mi riportano come consuetudine nella “mia” Valsusa. Quest’anno le nevicate non si sono fatte attendere, e dopo un incipit in pista per riprendere confidenza con il mezzo, ho subito rispolverato la splitboard avventurandomi in una breve classica escursione in zona Sestriere. Le emozioni che regala la montagna d’inverno sono sempre uniche, ma dato che la prudenza non e’ mai troppa ho deciso di approfondire l’argomento sicurezza, partecipandono all’evento formativo organizzato da WhiteRideVialattea, associazione di guide e maestri specializzati in freeride della zona.
Abbiamo affrontato argomenti quali la stratificazione del manto nevoso, i fattori di rischio, la prova di compressione e per finisre ci siamo cimentati con l’ARVA nella simulazione del recupero di una vittima da valanga.
Non staro’ a cercare di riassumere la lezione in quanto non e’ cosa di mia competenza, piuttosto consiglio a chiunque pratichi qualunque forma di fuoripista di informarsi in merito, preferibilmente tramite una guida locale delle zone che frequenta.
Gia’, perche’ e’ proprio su questo concetto, quello del “local” su cui credo sia opportuno riflettere. La montagna non scherza, e’ un ambiete molto vasto e variegato. E, sopratutto, non e’ tutta uguale, non e’ tutta uguale la neve, le temperature, il tipo di perturbazioni che scaricano.
Ogni terreno e’ diverso, ha delle problematiche e peculiarita’ che non sono assolute. Per dire l’Appennino centrale e’ molto diverso dalle Alpi Occidentali in cui mi trovo ora e in cui sono cresciuta.
Fermo restando che l’incidente puo’ capitare ovunque e anche la piu’ esperta delle guide corre questo rischio, se ci muoviamo in un ambiete che conosciamo abbiamo molte probabilita’ in piu’ di divertirci e di sfruttare al meglio quello che la montagna ci offre. E su questo non c’e’ GPS o altro strumento che tenga …. Non e’ come andare in bici, dove, bene o male ormai con le giuste informazioni, un gps e siti quali trailforks basta un po’ di dimestichezza con questi strumenti e si conclude un giro. Sulla neve i punti di riferimento sono diversi, qua in Valsusa fortunatamente si ha la fortuna di disporre di itinerari piuttosto semplici sui quali si riesce a “navigare a vista” avendo traccia di salita e discesa spesso quasi coincidenti.
Ovviamente conoscere la montagna aiuta, il sapere esattamente dove porta un determinato versante, essere al corrente del tipo di terreno che abbiamo sotto e dell’eventuale presenza di fossi e torrentini e’ cosa importante.
Ed e’ proprio quasi “navigando a vista” che ieri mi sono cimentata in un giro per me nuovo, quello del Genevris. Siamo sempre in una zona di piste in disuso, quindi tendenzialmente sicura quasi sempre. Le zone “abbandonate” dei resort, o interi resort abbanodnati sono una grande risorsa per chi ama avventurarsi nel backcountry senza rischi eccessivi sia a livello di orientamento che di sorprese date dalle condizioni della neve. Si parte dalla ben nota strada dell’Assietta, dall’Istituto Zootecnico, poco sopra Sauze. La strada e’ ben battuta e conviene camminare a piedi tenendo la split sottobraccio per circa 1km, fino all’ex “bar Genevris”, in corrispondenza del quale partiva uno skilift (ora smantellato) che saliva fino alle pendici del suddetto monte. La linea delle piste un tempo servite da tale impianto saranno poi oggetto della discesa …. ma intanto tocca salire, lasciando la comoda strada e iniziando a inerpicarci per boschi radi, tenendo come riferimento i pali della linea elettrica che puntano a monte. Il bosco si dirada lungo la salita, lasciando spazio ad ampie radure, che lasciano ben sperare per la discesa.
Proseguo su un evidente ex pista seguendo tracce di altri skialper e motoslitte, fino alla partenza di uno skilift apparentemente in disuso ma presente sulle mappe che punta verso il colle di Costa Piana. Salgo ancora dritto, la pendenza si inasprisce, fino all’altezza di un bunker. Siamo ormai alle pendici del monte Genevris, all’incirca nella zona in cui doveva terminare l’antico skilift.
Decido di fermarmi qua, dopo circa 500 d+, in quanto la mia tecnica di salita e’ ancora approssimativa per affrontare la cresta.
Invertita la split inizia la discesa. Le prime curve non sono troppo semplici, in quanto la neve e’ stranamenente lenta e richiede di scegliere le linee piu’ ripide per prendere velocita’. Fortunatamente poco piu’ in basso la musica cambia, e si inizia a surfare splendida farina che nel bosco diventa praticamente perfetta. La pista abbandonata confluisce in un altra pista, sempre non battuta ma piu’ frequentata, quindi per riportarci verso la strada dell’Assietta serve un ulteriore taglio che ci porta su un ultimo spettacolare muretto dalla neve perfetta, su cui tirare le ultime curve prima di ritrovare l’ex bar Genevris e quindi la via del rientro verso l’istituto zootecnico.
(video)
Un bel giretto, che con il mio pessimo allenamento chiudo in 2 ore e mezza soste incluse, temperatura forse fin troppo piacevole e neve molto buona per l’80% della discesa, salita ben fattibile anche per chi come me e’ alle prime armi. E’ bello poter disporre di un simile “playground“, con montagne facili, neve ottima e paesaggi fiabeschi, per andare a spasso spensierati anche sulla neve, senza l’ansia del GPS e del doversi trovare a montare i rampant.
Ribandisco comunque il concetto che la sicurezza e’ sempre da mettere davanti a tutto, e il conoscere il proprio territorio in primis. Solo nel mio playground so dove posso avventurarmi tranquillamente senza fretta anche per una gita pomeridiana in solitaria come quella di ieri … altrove ogni certezza svanisce (vedi splitboard in Appennino) e credo che, almeno per il mio background, sia meglio che certi “giocattoli” restino relegati alle montagne che mi han visto crescere.
Alla prossima gita, e mi raccomando arva, pala sonda e impariamo ad utilizzarli , ma in primis, vediamo di stare a casa se il meteo e’ palesemente rischioso.
Non e’ assolutamente stato facile, dopo la prima esperienza non propriamente positiva e le difficolta’ incontrate nel trovare informazioni ed eventuali skialper disposti ad accettare la sottoscritta principiante in salita, riuscire a far quadrare impegni, meteo e orari per finalmente andare a capire cosa possono offrire queste montagne del centro sud, cosi’ tanto diverse dalla mia Valle.
Dunque finalmente in compagnia di Ottavio, biker, skialper profondo conoscitore dell’Appennino centrale inizia quest’avventura sulla neve.
l’itinerario previsto e’ il MonteOcre: 2200 di quota con circa 900 d+ per arrivare in vetta.
La sveglia suona presto ma non mi pesa, la curiosita’ di collaudare per davvero la split e’ molta. Raggiungiamo la location di partenza attorno alle 10, un paesuncolo non molto distante da Campo Felice, Casamaina. E’ l’ennesimo dei “posti improbabili” gia’ incontrati in bici, insomma uno di quei posti dove ti sembra di capitarci per sbaglio. La neve apparentemente sul versante che dovremmo affrontare e’ poca, sono scettica nella mente ma mi fido cecamente della mia guida. Iniziamo a salire per uno stradotto, poi zig zag tra cespugli e sassi, neve poca e dura. I miei pensieri sono il non rovinare la split e sperare di scendere indenni. Il panorama e’ particolare, molto diverso da quelli che conosco, e guardandomi attorno penso che queste pendenze sarebbero molto interessanti da visionare in estate per vedere se c’e’ un qualche percorso adatto alla mtb.
(foto fontana e parte bassa)
Si continua a macinare metri in salita, senza grossi intoppi, fino all’avvicinarsi ad un “muretto“, diciamo ad una pendenza da pista rossa difficile o nera facile. E, come volevasi dimostrare qua iniziano i problemi. Dopo un gia’ complicato traverso, nel tentativo di cambiare direzione, scivolo e cado rotolando all’indietro come una patata lessa. Un bello spavento, considerata la pendenza e la presenza di pietre, fortunatamente l’incrocio con un pianetto mi fa fermare. A questi punti c’e’ da fare una cosa sola: farsi passare la paura, montare i rampant e affrontare lo strappo. In qualche modo piu’ o meno ortodosso e ancora incerta e non fiduciosa al 100% nel mezzo raggiungo il primo scollinamento, da cui finalmente si intravede il nostro obbiettivo. La neve migliora di qualita’ facendomi sperare e sognare qualche cuvra perlomento dignitosa.
Si prosegue con piu’ facilita’, senza rampant, lasciandosi a destra uno splendido pianoro su cui si affacciano altre alture dalle pendenze perfette, capace di far sognare qualunque amante del freeride. La particolarita‘ dell’appennino e’ la vastita di pendii “surfabili” senza ne alberi ne niente a quote basse, cosa che sulle alpi non c’e’, o meglio ha conformazione completamente diversa.
Salendo ulteriormente si ha sempre piu’ la percezione di un paesaggioextraterrestre, che potrebbe essere adatto ad un set di star wars. La neve inizia a mollare, le temperature poco coerenti con la stagione fan si che si ottenga il cosiddetto “firn“, neve primaverile trasformata portante, molto godibile con attrezzi quali la mia splitboard. Abbiamo passato i 2000 e la fatica inizia a farsi sentire … io procedo sempre piu’ a rilento, preferendo linee molto dirette anche se piu’ faticose. La paura di cadere in un inversione sta sempre li, ma pian piano la fiducia con il mezzo di salira arriva. Lentamente arriviamo su un anticima. quota 2140, la cresta del monte Ocre e’ proprio in faccia, ma la mia stanchezza sommata alla paura di cadere mi fa optare per accontentarmi di questo montarozzo. Per me e’ gia’ un gran risultato, circa 800 d+ #conlemiegambe , al momento e’ il dislivello piu’ importante raggiunto con la split.
Ripreso fiato e riportata la split in posizione di discesa, iniziamo a scendere. Le prime curve regalano ancora qualche sprazzo di powdercompatta un po’ gessata, ma decisamente apprezzabile, poi giu’ sul firn, che rimane comunque di gradevole sensazione sotto la soletta.
Curve di diverso raggio, tendenti allo stretto visto che devo seguire uno skier, poi giu’ sempre su trasformata, con qualche breve punto in cui ricompare la powder gessata. Tirando le somme e considerato il meteo ballerino non ci si lamenta. L’ultima parte diventa un po’ piu’ macchinosa e crostosa, ma il know-how di Ottavio fa si di trovare sempre il passaggio giusto anche per la tavola. Per tutta la discesa solo una volta ho dovuto fare buta/gava (metti e togli la tavola x i non piemontesi) e il bastoncino che ho tenuto preventivamente a portata di mano e’ serivto piuttosto di rado. Gita perfetta per la tavola dunque … magari da ripetere in condizioni di neve “recente” .
(video discesa)
Concludendo, anche d’inverno l’appennino centrale mostra di avere un suo perche’. Sono montagne diverse dalle alpi, con paesaggi estremamente vasti e sconfinati, e le alterzze e pendenze non eccessive fanno piu’ effetto di enormi collinoni innevati, tutti adattissimi ad essere “surfati”. C’e’ tanto da fare e da esplorare, non e’ facile muoversi in autonomia in quanto il territorio e’ molto, molto differente da quello alpino ed il numero di praticanti dello skialp molto basso, quindi e’ frequente poter tracciare per primi (oggi sul versante da noi scelto cosi’ e’ stato). Le variabili meteo in gioco sono molte piu’ che sulle alpi, e mi ci vorra’ del tempo per imparare a comprenderle ed interpretarle in maniera corretta. Ma, km da tritare in macchina a parte, c’e’ tutto un mondo da scoprire (e da surfare) la fuori …..
Un enorme ringraziamento alla mia guida, Ottavio “otto”, che ha avuto la pazienza di introdurmi a questo territorio per me completamente inesplorato 😉
Traccia GPX : fornisco la traccia, ma raccomando di usarla solo se ben coscienti di quello che si va a fare. Il territorio e’ vasto, privo a volte di punti di riferimento, ed un errore puo’ portare su versanti completamente opposti. Il mio consiglio e’, se non siete del posto, di cercare di affidarvi a qualche esperto.
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