Nasce Ridepink.it

Con immenso piacere annuncio anche qua sul blog personale la mia nuova grande sfida. Si chiama RidePink.it ed e’ (per quanto a mia conoscenza) il primo progetto di MTB Coaching offerto da Istruttrici donne nei confronti di altre donne bikers. Con me in questa avventura ci sara’ Barbara, rider e personal Trainer , con cui nell’ultimo periodo ho condiviso uscite in bici, progressi e confronto tecnico.

kiaz and bi argentario
"ride P.NK DON'T THINK" logo

Il nostro obiettivo e’ quello di vedere sempre piu’ ragazze e donne di tutte le eta’ in MTB e in EBike. Vogliamo far capire che con un opportuno background tecnico questo sport puo’ essere davvero divertente e motivante, permettendoci non solo di ricercare l’adrenalina sui trail, ma anche di raggiungere posti fantastici. Crediamo fermamente che la MTB “ricreativa”, intesa come attrezzo per godersi il mondo outdoor abbia una potenzialita’ simile a quella dello sci alpino e dello snowboard … sopratutto in funzione del fatto che nevica e nevichera’ sempre meno, dunque la montagna andra’ sempre piu’ vissuta in modo alternativo e destagionalizzato. La filosofia didattica e’ gia’ quella che trovate qua, ovvero #dazeroalsentiero , un approccio progressivo che mira a consolidare le abilita’ tecniche di base e a portarle sui trail, guadagnando fiducia e imparando a superare i blocchi mentali, problema tipico dell’universo femminile.

k & b tivoli

Ed e’ dai blocchi mentali che arriva il nostro slogan: “Don’t think, ride pink”, ovvero non pensare, ma “raidare” , proprio perche’ spesso tendiamo a bloccarci ragionando in maniera eccessiva e facendo girare piu’ il cervello che non le ruote 😀 !!

Vi invitiamo a seguirci sul nuovo sito e sui rispettivi canali social !

FB: https://www.facebook.com/ridepinkmtb
IG: https://www.instagram.com/ridepink.it/

MTB Coaching: blocchi mentali

MTB Coaching: blocchi mentali

Comincia con questo articolo una serie dedicata alla didattica. Se trovero’ tempo e location idonea cerchero’ anche di fare una versione video (vlog), giusto per cercare di stare al passo con i tempi 😀

Veniamo subito al dunque. L’idea di trattare questo insidioso argomento mi e’ venuta venerdi’ scorso, a Sestri levante alla fine del ST.Anna. Chi conosce il trail sa che alla fine del suddetto c’e’ un passaggio su roccia che puo’ incutere timore.

La sottoscritta ci ha messo parecchio tempo a trovare il coraggio di chiuderlo.
Parlo di trovare il coraggio, perche’ in se il passaggio non ha nulla di particolarmente complesso sopratutto se affrontato con una full moderna sia essa a pile o no. La prima volta che lo ho “portato a casa” risale al 2019, con la stumpjumper

il primo superamento del “sasso” in questione, nel 2019 con la specy

Ma cos’ha di particolare questo sasso ? Lo si capisce abbastanza bene dalla foto recente, la prima che ho postato: e’ messo in un punto dove c’e’ roccia sia a destra che a sinistra e per copiarlo e’ necessario mettere le ruote in un punto ben preciso.
Dopodiche’ si tratta di un droppetto come tanti altri, addirittura piu’ facile del roccione della Capra di formello, che pero’ ho “imparato a chiudere” molto prima del suddetto passaggio di Sestri Levante.

drop 4mello

Addirittura, posso dire che la difficolta’ e’paragonabile ad un altro passaggio presente a Formello, ovvero il drop sulla Volpe.

volpe drop old
il drop della Volpe, non e molto diverso. Ma fa un effetto diverso essendo circondato da vegetazione.

Perche’ quindi ci sono “certi passaggi” che chiudiamo e certi altri, di pari difficolta’ che ci mandano in tilt ?

Molto semplice. Si tratta di blocchi mentali, spesso correlati a qualche “elemento di disturbo” che incute timore, tipo una parte esposta, un albero in un posto scomodo, o semplicemente il fatto di trovarsi in un “posto nuovo”.

Il ragionamento che sto per fare PRESUPPONE che il/la rider abbia il livello necessario e sufficente a superare il passaggio incriminato.
Nel caso specifico stiamo parlando di un breve ripido roccioso, definibile come drop, con analogie didattiche con, ad esempio, una scalinata ripida ma breve, elemento reperibile con facilita’ e utilizzabile per apprendere la tecnica in un contesto protetto.

Ecco, introduciamo il concetto di “contesto protetto”: definisco contesto protetto tutte quelle situazioni in cui possiamo praticare determinate skill minimizzando i rischi di infortunio: bike park, parchi urbani con zone adatte alla mtb, alcuni tracciati xco anche. Trattasi tipicamente di aree in cui e’ facile prestare assistenza agli allievi in caso di coaching, e, piu’ generalmente di “spot” in cui ci troviamo nella nostra zona di comfort.

Il blocco mentale avviene quando non riusciamo a ricondurre quanto abbiamo davanti ad un qualcosa di simile gia’ effettuato in un contesto protetto e/o su un trail che e’ nella nostra zona di comfort.

Come possiamo fare a sbloccarci, e a trovare la fiducia necessaria sia nella bici che nelle nostre skill per azzardare un nuovo passaggio?
Provo a dare qualche consiglio.

1) Osservare bene l’ostacolo, e se possibile verificare che la bici lo “copi” in maniera agevole senza rischio di toccare sul MC o altrove.
2) Spesso questo tipo di drop ha un entrata blind, ovvero alla cieca, che da l’idea di aver a che fare con un salto piuttosto che con un passaggio copiabile. Il non avere visibilita’ sul dopo e’ uno dei primi fattori di blocco. Individuare dunque il punto di ingresso del drop.
3) Individuato il punto d’ingresso fare qualche metro indietro e studiare bene la linea per entrare dritti. Questa fase e’ molto importante, perche’ talvolta e’ meglio una linea retta anche se piu’ dissestata piuttosto che introdurre curve per cercare la parte piu’ pulita.
4) Visualizzare mentalmente e memorizzare la “cosa piu’ simile” che abbiamo gia’ fatto in altri contesti.

A questi punti la strategia e’ la stessa che si usa per imparare a saltare : ovvero “commit” , termine che non riesco a ben tradurre dall’inglese. “Commit” nell IT e’ la conferma di un blocco di istruzioni ad un database relazionale.

Qualcosa del tipo, ok, ho chiare le istruzioni, devo eseguire senza interruzioni .

In questo caso il significato e’ avere bene in testa quello che dobbiamo fare, concentrandoci solo sulla linea e non su tutto il resto, tenendo a mente che ci sara’ un istante di “non ritorno”, superato il quale gli errori si pagano. Se abbiamo bene in mente la linea, se sappiamo gestire in maniera opportuna lo spostamento dei pesi sulla bici (bike body separation, separazione corpo bici), l’ostacolo risultera’ “una cazzata”, in quanto non sara’ altro che la replica di un gesto che abbiamo gia’ fatto e che ben conosciamo.

Sottolineo l’importanza di visualizzare: di pensare ad un “e’ come … un qualcosa di gia’ noto” e di non pensare a cosa ci sta attorno. Questo e’ molto d’aiuto anche nel superare parti esposte anche molto facili.

Ovviamente oltre che la tecnica, serve esperienza, fiducia e ripetibilita’. Un consiglio su passaggi di questo tipo e’ di ripeterli piu’ volte, fino a portarli nella nostra zona di confort.

Se invece ci accorgiamo che arrivamo indecisi, e che all’attacco del passaggio non riusciamo a visualizzarne la chiusura, meglio lasciare perdere per il momento e tornare a consolidare le abilita’ tecniche necessarie in un “contesto protetto”.

Ma quali sono le abilita’ piu’ importanti per gestire in sicurezza drop e passaggi scalonati ?
Oltre la gia’ citata bike body separation, serve una buona gestione dei freni nonche’ fiducia negli stessi (brake confidence) e nozioni base di equlibrio. Sono dell’idea che un buon surplace (qua un mio tutorial fatto in passato) sia sempre alla base di tantissime altre skill utili sopratutto in un contesto all-mountain. Ovviamente questo articolo e’ rivolto a chi inizia a confrontarsi con trail piu’ tecnici. Per chi invece vuole migliorare la velocita’ la questione e’ diversa ma ne parleremo in futuro.

Vi ricordo che sono Maestra di MTB. Se volete approfondire dal vivo qua il mio progetto di coaching.

La bicicletta (a pile e non) mi salvera’

Mi scuso per il lungo silenzio stampa, ma sono reduce da un periodo impegnativo, culminato con l’acquisizione del brevetto di Guida Cicloturistica Sportiva FCI che si aggiunge a quello di Maestro di primo livello. Questo ulteriore piccolo tassello si aggiunge ad un percorso, intrapreso quasi inconsapevolmente e per gioco nel 2018, che mi ha portato finalmente a veder pian piano realizzarsi un sogno, quello di riuscire a “monetizzare” una passione sportiva.
In questo periodo ho capito di aver fatto tanti, tantissimi errori, di essermi fatta influenzare da legami e da stereotipi.
La bicicletta e’ un “attrezzo” che mi e’ sempre venuta incontro nei momenti difficili. E in tali situazioni non mi ha mai deluso, indicandomi la strada per uscire dai guai. In bici c’e’ sempre tempo di riflettere. Sopratutto quando giro da sola. Forse e’ proprio la contrapposizione tra le mie riflessioni in salita e la concentrazione e l’adrenalina della discesa che rende per me questo sport un qualcosa di unico che mi fa sentire viva, unito allo stare all’aria aperta e esplorare posti nuovi.
Gia’ dallo snowboard (con il quale il mio sogno di diventare maestra purtroppo non e’ andato a buon fine) sentivo di avere una buona propensione alla didattica. Anche in settori completamente differenti (IT) ho avuto esperienze positive nell’insegnamento. Purtroppo questi elementi sono risultati transitori, non ho mai avuto la capacita’ di dare importanza a questa skill.
Finalmente, a fine 2020 in piene emergenza Covid, grazie ad una coincidenza inizio una collaborazione con una scuola di MTB e metto in opera le mie skill. Bambini alle prime esperienze, poi ragazzini aspiranti enduristi, e nel mentre qualche “ragazza cresciuta” alle prime armi.


La cosa pare funzionare, e credo che sia giunta l’ora di continuare in questo percorso, di migliorare ulteriormente il mio livello (no, non chiedetemi di fare i qom/kom su strava) e di promuovere il piu’ possibile l’uso turistico/ricreativo della MTB con la SICUREZZA come prima finalita’. Si, la sicurezza, perche’ ad oggi chiunque puo’ affittare un ebike senza avere un minimo di conoscenza di come va guidata.
La mtb si guida, si guida !!! Non si pedala e basta, si GUIDA !
La tecnica e’ quello che permette di acquisire sicurezza : #dazeroalsentiero e’ uno dei miei hashtag, e significa arrivare sui trail con le nozioni necessarie e sufficienti a e evitare incidenti.

drop 4mello


Il 2022 riservera’ grandi cambiamenti. Posso reputarmi fortunata attualmente a permettermi di correre alcuni rischi che sono cosciente non tutti possono correre. Le persone normali non corrono questi rischi. Le persone normali hanno una vita normale. Io no. E non la voglio.

Probabilmente i miei clienti, o i genitori dei miei clienti, sono o saranno persone normali per una buona parte.
Magari qualcuno ha questa passione. Magari molti spendono anche cifre per me irraggiungibili per avere un ebike di ultima generazione o per andare in ferie o a girare nei posti piu’ “cool”. E’ passione anche quella in un certo senso.
Non sono fatta per restare a guardare.
Non sono fatta per giocare ad un videogame reale (strava).


Quello che attualmente faccio (lavoro in uno studio oculistico) lo faccio solo per “mangiare” e ripagarmi l’affitto in una citta’ che non mi e’ mai appartenuta.


La vita e’ una sola ed e’ gia’ quasi tardi. Va vissuta, non sprecata. Sopratutto di questi tempi, dove il covid ha fatto emergere il peggio dell’essere umano e, almeno per quello che mi riguarda, mi ha fatto capire cosa e’ VERAMENTE IMPORTANTE per me.
Non crediate che quello che sto per fare non sia un atto di coraggio.
Non posso svelare tutto e subito.
A presto su queste pagine, a presto con altre novita’.

Stay Tuned,

KiaZ

eMTB: Sestri All Mountain

Sestri Levante All Mountain

Sestri Levante e’ ben nota per i trail enduro, tra cui il famoso St.Anna, e questo ormai lo sanno pure i muri.
Ma non c’e’ solo “enduro” inteso come “prove speciali” , ma altri interessantissimi itinerari all-mountain, piu’ naturali (btw, st.Anna e’ a prevalenza naturale, ma la sua particolare conformazione lo rende molto enduristico) e molto meno conosciuti. Grazie alla disponibilita’ della guida MTB Gabriele ho avuto l’opportunita’ di fare un bel giro alternativo sulle alture che sovrastano Sestri e Cavi di Lavagna.

Partiamo dall’inizio: la salita e’ la solita che si fa per i classici St’Anna, ma stavolta proseguiamo per una sterrata, che poi diventera’ sentiero, direzione Cavi quindi verso ponente , fino a raggiungere la cima del monte Capenardo, poco sotto i 700 mt slm. Da qua proseguiamo ancora fino, tramite un trail a scalette, a raggiungere il sentiero di cresta.
Le salite sono a tratti impegnative e l’ebike e’ d’obbligo per i comuni mortali. Si parte quindi con uno spettacolare sentiero in cresta, con vista mare che spazia su tutto l’intero golfo del Tigullio, da Sestri fino al monte di Portofino.

Dopo questo breve incipit molto easy , lasciamo la cresta per immetterci nel bosco in parete nord. Attacchiamo quindi con il primo trail un po’ piu’ tecnico della giornata, “ciappea“, da “ciappe”, ovvero il termine con cui venivano chiamate le lastre di ardesia, caratteristiche di queste alture. E il trail e’ quindi un susseguirsi di punti piu’ flow a qualche passaggio tecnico su roccia fissa mai impegnativo.

Ci ritroviamo allo slargo da cui partono alcuni trail e da cui abbiamo iniziato a salire su singletrack . Da qua prendiamo uno stretto trail, a tratti nascosto dalla vegetazione. Scorrevole e divertente, e’ il sentiero piu’ flow del giro, e molto probabilmente il piu’ flow della zona (su trailforks e’ indicato come verde …). Attraversando bellissimi boschi e alternando zone piu’ aperte da cui si scorge nuovamente il mare, a tratti circondati dalle ginestre, sbuchiamo su asfalto dal versante ovest, verso Cavi, e dunque ci tocca risalire, per l’ultima volta.

flow trail

Stavolta lasciato l’asfalto la salita si fa impervia, tanto da mandare in crisi la thok su un ripido anche in boost. Fortunatamente e’ breve, pochi metri a spingismo (walk) e andiamo ad incrociare l’ultima parte del trail “i cani” che con un mezzacosta ci portera’ sul famoso Sant’Anna, circa alla fine del Toboga. Il resto, lo conosciamo ormai bene, dai paesaggi ai passaggi tecnici su roccia fissa Sant’Anna non delude mai, e stavolta, cigliegina sulla torta, una nuova variante un pelo piu’ easy che bypassa il roccione e porta a meta’ del trail finale dei ponti Romani. Interessante e utile per chi non ha ancora fiducia sui drop rocciosi ma non vuole perdersi l’opportunita’ di girare su uno dei trail piu’ “unici” della Liguria.

Si conclude cosi’ questo bellissimo giro. Ringrazio la guida Gabriele Grasso per avermi fatto scoprire questo itinerario AM che aggiunge un motivo in piu’ per girare a Sestri. Il territorio ligure conferma ancora una volta di avere la conformazione perfetta per la MTB, e l’elettrica amplia ulteriormente il range di sfruttamento del territorio. Spero presto di tornare qua, avere questi trail a poca distanza da casa non ha prezzo.

st anna guide

relive

MTB Liguria: La Porcilaia

La Porcilaia

Ci sono, a volte dei trail per cui vado in fissa, dei trail che vedo in video e che mi metto in testa che devo assolutamente fare. Talvolta capita che i trail in questione siano in zone piuttosto poco frequentate (almeno, pre covid) e questo , dopo l’infortunio di settembre, mi mette un po’ il freno ad andarci da sola. Ma stavolta i report recenti e positivi su trailforks, e il clima secco da un po’ mi hanno permesso di ritrovare il coraggio. Siamo in Liguria per il ponte, e finalmente andiamo a fare la Porcilaia. La Porcilaia e’ un trail all-mountain ad uso promiscuo che stacca dalla strada del monte Fasce, percorre una lunga cresta e poi si incanala sul versante ovest nel bosco, per arrivare fino in zona Sant. Ilario (Genova Nervi). Avevo visto tanti video di questo trail, scassato ma non troppo, con paesaggi da favola e sezioni tecniche impegnative ma fattibili. O almeno, questa era l’idea che mi ero fatta dai video.
Ma veniamo all’impresa. Decido di tracciare ex novo una linea alternativa. Arrivando da Rapallo non mi conviene salire da Nervi, ma lasciare la macchina a Sori, e percorrere una strada alternativa che, attraversando varie caratteristiche frazioni, arriva alla panormaica del Monte Fasce. La salita va su agevole, con l’ebike e’ davvero una piacevole passeggiata, sostando di tanto in tanto ad immortalare qualche caratteristico scorcio sul mare.

fraz sori
frazioni sori

E’ anche abbastanza facile trovare l’attacco di questa Porcilaia. Il trail e’ ben segnato da cartelli e segnavia, e’ difficile sbagliare, c’e’ un unico bivio dove bisogna piegare a destra ed evitare la seconda cresta (ciclabile ma definita nera da trailforks).

strada fasce
start porcilaia

Il trail parte con un lungo mezzacosta esposto. Mai difficile, con qualche sasso un po’ cattivo e qualche passaggio che andrebbe conosciuto (ci sono scaloni non copiabili) , ma mai facile, mai rilassante. Il fondo e’ sempre irregolare, su pietra fissa, tipico da antica mulattiera dismessa e richiede un impegno fisico non indifferente. Parti piu’ scorrevoli si alternano a passaggi piu’ tecnici sempre su pietra fissa. Solo un paio di gradoni mi han messo alla prova: uno e’ assolutamente non copiabile, il secondo sarebbe fattibile. Ma essendo in solitaria ho optato per rischiare il meno possibile.

E’ difficile trovare le parole per descrivere lo spettacolo offerto da questo trail. L’unico neo e’ quello che essendo fisicamente impegnativo non permette di rilassarsi quanto basta x godersi lo spettacolo. Meno male che ho documentato tutto, per rivivere a posteriori questo bellissimo giro :

creste porcilaia
thok
monte di porfofino da porcilaia

(video prima parte e foto)

Lasciata la cresta, ci si infila nel bosco, e il trail assume sempre + l’aspetto di mulattiera scassata. Mai ripido e mai impossibile, ma sempre, continuamente impegnativo fisicamente, fino ad arrivare ad uno stradotto, apparentemente carrabile, sopra Sant’Ilario. E da qua iniziano le incognite.

Dovendo tornare verso Sori quindi verso levante, avevo tracciato un ipotetica linea tutta alla mia sinistra. Sulla cartina sembrava una “via” con un nome … in realta’ si e’ rivelata un susseguirsi di strettoie e scalette in stile “townhill”, passando in mezzo ad abitazioni raggiungibili davvero soltanto per tali passaggi … Impressionante. Dopo alcuni bivi sbagliati, e un susseguirsi di scalette piu’ o meno hardcore , affrontate con le braccia ormai alla frutta , finalmente sbuco a Bogliasco sull’Aurelia … Felice di essere viva e di essere tornata al “mondo civilizzato” metto boost e mi pedalo gli ultimi km che mi separano dalla macchina.

Per concludere, un giro che se si ha il livello necessario per apprezzarlo va fatto. Il trail non e’ mai ripido, ma e’ impegnativo fisicamente. Il terreno non e’ mai compatto , non ci sono punti dove poter far correre la bici. Braccia e gambe sono sempre richieste attive e al lavoro. In pratica, ho faticato piu’ a scendere che a salire. Alla luce di tutto questo vorrei trovare una via di rientro + agevole , le scalinate per quanto divertenti diventano pericolose se affrontate da stanchi. Full d’obbligo , risalita piu’ che umana anche per chi non va a pile. Da evitare assolutamente con il bagnato .

Strava link:
https://www.strava.com/activities/5384044611

Pasqua Rossa

Le restrizioni pasquali permettono la visita ad un amico o parente, anche fuori comune, ma non di spostarsi con mezzo privato per svolgere qualsivoglia attivita’ outdoor in solitaria. Certo, sta al buon senso di chi eventualmente dovrebbe imbattersi nel “pericoloso trasgressore“, ma sulla carta, de facto, allontanarsi di una 30ina di km in auto dalla propria residenza per infilarsi in un bosco da SOLI con una bicicletta e’ perseguibile.
Come questa azione possa essere considerata un “rischio di contagio” me lo devono raccontare. Forse i cinghiali sono positivi al covid.

La triste questione e’ che invece basta affacciarsi in qualunque parco o area verde cittadina, raggiungibile magari a pedali, per trovarci il mondo intero, una sfilza di bikers, trail runners e trekkers piu’ o meno improvvisati che rendono anche insidiosa e pericolosa l’attivita’ in se. Se solo fosse ammesso lo spostamento, anche a livello provinciale/citta’ metropolitana, i parchi resterebbero risorsa per chi non dispone di un mezzo privato per allontanersi dalla citta’, fermo restando che all’aria aperta il contagio resta improbabile.

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Ci dicono che dobbiamo distanziarci ma non ci permettono di farlo.
Ci vogliono reclusi, meri consumatori di prodotti e servizi, preferibilmente senza testa pensante.

Certo qualcuno potrebbe obiettare dicendo che l’italiano e’ furbo, che se apri alle attivita’ outdoor de facto rischi di aprire ai merenderos. Basterebbe vietare lo stazionamento (come e’ stato fatto x le spiagge in Australia nel primo lockdown) , anche se pure qua, un pic nic all’aperto e’ sicuramente meno pericoloso di un pranzo al chiuso dal punto di vista epidemiologico.

Lo sport all’aperto individuale non e’ veicolo di contagio, fa solo bene. Anche solo la semplice passeggiata nel verde, respirando aria pulita e godendo della vista di ampi spazi, fa bene.

Eh no, l’unica cosa che fa bene (e va bene) e’ rintanarsi in casa davanti a netflix e comprare oggetti mai piu’ senza su Amazon.

Usiamo la testa, continuiamo a girare nel rispetto della sicurezza nostra e altrui. Tanto con questa patologia dovremmo ancora conviverci per un po’.


Giriamo in solitaria o con famigliari, al massimo con un amico/a fidato. Usciamo: poter usufruire di quel che la Natura ci offre e’ un diritto, anche per chi ha la sfortuna di vivere in una grigia metropoli.

PS: Un’ultimo pensiero riguarda il discorso delle tessere, tesserine, tesserone ecc ecc: se ci si tessera come Atleta presso una Federazione (non un ente) e si dimostra di essere iscritti a gare di interesse nazionale si possono bypassare tutti i divieti. Inclusa la possibilita’ di andare a fare surf per i surfisti landlocked. Trovo questa cosa l’ennesima “italiotata” , che dimostra come lo sport amatoriale o comunque l’attivita’ motoria/ludica non faccia parte della nostra cultura e non venga considerata azione atta al mantenimento della nostra salute fisica e mentale, ma, senza nulla togliere agli Atleti, quelli veri, non i nonni elettrici che si tesserano FCI, venga relegata ad un discorso puramente agonistico e di performance. L’attivita’ outdoor deve essere LIBERA e ACCESSIBILE a tutti, senza discriminazioni di tessere, enti e Federazioni.

#ridesafe #ridealone #nocovidhere

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Un frontino per amico

Sono ormai circa un paio di mesi che vado a spasso con il #frontinorosso da me assemblato. Non credevo che una bicicletta cosi’ semplice potesse farmi ritrovare tutta una serie di sensazioni positive che l’ebike mi aveva fatto dimenticare.
La pedalabilita‘ in salita, che nn fa rimpiangere troppo l’assenza del motore, sommata alla precisione nella guida , rende questa hardtail un mezzo che puo’ spingersi su trail anche di una certa tecnicita’.Gia’ a Formello, sul neonato “Picchietto“, un breve trail mediamente ripido e guidato, aveva dimostrato precisione e manovrabilita’ pure in presenza di S discretamente strette che invece han mandato in crisi l’ebike.

Ma e’ nel caso del Marshall del TTC di Tivoli, un sentiero enduro dove tratti piu’ scorrevoli si alternano a qualche ripido e passaggio tecnico non sempre banale che questa semplice bicicletta ha avuto la sua “consacrazione“.
Una geometria moderna con un angolo di sterzo aperto ma senza esagerazioni (66.5) e la precisone di guida non mi hanno fatto rimpiangere ne’ la sospensione poseriore ne’ l’escursione di “soli” 120 mm della forcella Suntour Aion, che mi sta dando buone sensazioni, a conferma dell’ottimo rapporto qualita’ prezzo del prodotto (che tra l’altro pare essere facilmente modificabile per variare la corsa, fino a 140 mm) e del fatto che talvolta anche brand meno “top” possono avere in catalogo materiale performante, sopratutto per chi non e’ pro o cmq racer. Ovviamente non ci si puo’ aspettare di andare “a fuoco”, ma non sono e mai saro’ un amante delle velocita’ estreme, quindi ben venga un mezzo che, magari piu’ piano, possa andare ovunque.

ripoli ttc frontino

Il #frontinorosso e’ anche un ottimo giocattolo da cortile: la pachidermica full a batterie di certo non mi permetteva di dilettarmi con la pratica del bunnyhop e di ricominciare ad approcciarmi al manual. Per me la bici e’ anche gioco, tecnica, piccole (grandi) sfide.

manual frontino
bunnyhop frontino

Dunque in questo tempo di covid con il quale temo che dovremo convivere ancora per un (bel) po’, tanti nuovi adepti si stanno interessando alla bicicletta. Puo’ essere un frontino come quello che ho assemblato una buona entry level polivalente?
Secondo me si, sopratutto se il target e’ pedalare e approcciarsi a qualche singletrack mantenendo una buona sicurezza. Ricordo che la front e’ scattante reattiva e precisa, ma chiede molto a chi ci sta sopra in discesa. Non e’ una bici da “molla tutto e via” , serve una buona dinamicita’ di gambe per fare quello che farebbe la sospensione. Di contro se si impara a fare qualche passaggio tecnico si sara’ poi agevolati con un eventuale full. In ogni caso , anche nell’eventuale passaggio ad un ebike, confrontarsi con un mezzo cosi’ semplice ma preciso puo’ dare un grosso aiuto per imparare a scegliere correttamente le linee in discesa. C’e’ pero’ da evidenziare che il peso molto superiore di un elettrica cambia tantissimo il modo di guidare, quindi la mia opinione e’ che se un potenziale neo-biker ha gia’ anche solo una vaga idea di prendersi un ebike, perche’ magari la ha provata ecc ecc, e’ meglio fare lo sforzo economico e inizare facendo subito i conti con il mezzo definitvo.
Ma per un indeciso che vuole farci un uso allround come prima bici , che non ha budget per una full nuova e non e’ in grado di valutare la bonta’ di un usato, una di queste front cattive puo’ essere davvero un bel mezzo per innamorarsi delle ruote grasse ;). Per avere dei “valori di riferimento” ecco la tabella con le misure del telaio Octane One Prone che ho scelto in tagla S (mia altezza 165)

geometria prone
frontinoonthebeach

Benvenuto Frontino !

La dipartita della Stumpjumper mi aveva lasciato senza un mezzo a propulsione umana. L’ebike infatti, per quanto sia divertente e mi abbia portato in posti dove #conlemiegambe non ci sarei arrivata, diventa un po’ limitante dal punto di vista del mantenimento della forma fisica in questa stagione dalle giornate brevissime, in cui non sempre ci si puo’ permettere di allontanarsi troppo per fare uscite che risultino un minimo “allenanti” anche con l’elettrica.
Ecco l’idea quindi di dedicarmi un po’ al fai-da-te, mia passione da sempre, e costruirmi un Frontino (bici ammortizzata solo davanti per i profani) secondo le mie esigenze. Il Frontino e’ stato assemblato in casa, piu’ precisamente in cucina, e la scelta dell’autocostruzione, oltre ad essere un divertente passatempo, mi ha permesso di creare una bici difficilmente trovabile sul mercato del nuovo “fatta e finita” con le caratteristiche da me ricercate. Polivalenza e pedalabilita’, queste le due parole chiave che caratterizzano questa front un po’ cattivella: il telaio, preso su CRC, e’ un Octane One Prone 29, in alluminio, e ha un angolo di sterzo di 66.5 gradi e se montato con le ruote da 29 puo’ ospitare fino a 130 (forse anche 140) di escursione all’anteriore. Io ho preferito favorire la pedalabilita’ montando una forka da 120 e lasciando fare il resto al generoso angolo di sterzo.
La trasmissione e’ NX 11v, scelta dettata dal fatto di voler avere l’intercambiabilita’ dei pezzi con l’ebike in caso di guasto, e dal voler provare magari un giorno a girarci con le gomme Plus della biciclettona a pile.

Il montaggio, salvo qualche piccola complicanza con ragnetto, falsa maglia, serraggio serie sterzo e, ultimo ma veramente ostico, reggisella telescopico, non mi ha creato particolari problematiche. Ovviamente servono un certo numero di attrezzi e chiavi dedicate. Un rigraziamento va al gruppo Facebook Hardtail attitude Italia per i suggerimenti sulla componentistica e sull’assemblaggio.

Una volta terminata, non c’e’ stato nulla di piu’ bello che salire sulla propria creatura: una bici reattiva, obbediente e precisa, esattamente come la desideravo. Dovremo ancora provarla in contesti piu’ tecnici, ma sono convinta che questo mezzo abbia tante risorse e che possa essere utilizzato in giri a carattere trail/light enduro con grande soddisfazione e divertimento.

Per ora, vi lascio al video del primo test ride. Prossimamente altri aggiornamenti. Seguite il #frontinorosso 😉 e la sua creatrice @kiazsurfbike anche su Instagram e su youtube per update piu’ frequenti 😉

Freeride.

Freeride

Solo chi la ha vissuto, chi lo ha visto nascere, chi ci si identificia dall’inizio puo’ comprendere il significato totale di questo termine.

Credo di avere alle spalle circa .. piu’ di 25 anni di freeride. Con pause, alti bassi, allontanamenti, ma lo spirito nasce da li e li resta.

Ed e proprio stato l’andere via, il tentare qualcosa di diverso, l’allontanarsi da quella filosofia che alla fine mi ci ha ricondotto.

La bici, e ancora di piu’ l’ebike, assieme allo snowboard e sopratutto alla splitboard, mi han fatto trarre una conclusione pesante, ma reale.

Surfing is not freeride. Freeriders don’t surf.

Forse questa affermazione verra’ non condivisa e criticata da alcuni, e verra’ invece compresa da altri.

Per dare un senso compiuto al mio ragionamento, cerchiamo di capire cos’e’ il freeride dalle origini, nelle sue due grosse branche, quella invernale legata allo snowboard (e/o allo sci negli anni successivi, o meglio freeski) e quella legata alla mtb.

Wikipedia recita:

Il freeride, letteralmente guidare liberi, è la pratica ludica e soft degli sport di natura. Riguarda principalmente gli sport di movimento, dei quali sottolinea il contatto con la natura, gli spazi ampi e liberi, il divertimento, in alcuni casi l’importanza del gruppo, rendendo secondario l’aspetto agonistico e competitivo.

Se nello snowboard (e/o nello sci) questa definizione si traduce perfettamente nell’andare fuoripista, con o senza impianti, sempre alla ricerca di nuove linee e pendii da tracciare, nella MTB ha preso in passato alcune connotazioni tali da farla trasformare in una disciplina ben precisa, in cui viene valutato lo “stile” di una determinata discesa su un mix di terreno naturale e strutture costruite, allontanandosi in realta’ da quello che e’ il “freeride” dei comuni mortali, e lasciando spazio ad altre definizioni, tipo “all mountain” e “enduro” – quest’ultimo agli albori – parlo di meta’ anni 2000 quando veniva chiamato anche “Freeride pedalato”, e forse proprio questo freeride pedalato, andato a finire nel dimenticatoio, rappresenta quello che io e molti altri facciamo con la ebike: pedalarsi (aiutati) le risalite per godersi discese sfidanti e divertenti, e magari cercarne sempre di nuove. Un po’ proprio come d’inverno con la tavola o gli sci, quando si inizia ad uscire “fuori dal preparato”.

Questo per me e’ il significato di freeride: “fuori dal preparato, costruito”.

Spesso si cerca il legame tra snowboard e surf. Anche io del resto al surf ci sono arrivata dallo snowboard, perche’ volevo “capire dove tutto era iniziato”.
Una sorta di ricerca personale nel mondo dei boardsports, nel loro passato.
E posso reputarmi fortunata, per due motivi. Per una volta, l’essere “vecchi” e’ un bene, e sono felice di aver vissuto gli anni 90 e il primo decennio degli anni 2000.

Ci sono ancora alcune esperienze che mi mancano e che non so se riusciro’ a fare prima di morire, ma in snowboard posso dire di aver fatto tanto, ho lasciato il mio segno a la Grave e ho surfato powder a luglio a les2alpes. Ho tracciato sul ban per prima tante volte, ho trovato powder in momenti in cui non ci credevo piu’, ho visto la morte in diretta un paio di volte ma sono ancora qua.
Ho ancora un sogno nel cassetto, quello almeno 1 volta nella vita di volare. (helisnow).

bc rep
linee sul Fournier nella prima meta’ del 2000. Immagine di repertorio.
il saltare in snow e’ quel che mi ha portato a saltare anche in bici

Ma non era abbastanza. Un qualcosa mi aveva richiamato alla ricerca delle origni degli sport di scivolamento. Da windsurfista fallita per tutta una serie di ragioni, un qualche legame con l’elemento liquido comunque lo ho sempre avuto, anche se sono cresciuta tra i monti. Cosi’ alla gia’ veneranda eta’ di 30 anni ho imparato a fare surf, e questo ha condizionato un po’ troppo la mia vita con il senno di poi.

Surf ma non solo. Una svolta epocola nella mia vita a 360 che parte dagli occhi e passa per il lavoro arrivando appunto al surf mi ha portato a “rotolare verso sud” e iniziare una “ricerca di un qualcosa che forse non c’e'”.

Dal 2013 sono ufficialmente piu’ o meno fissa nella Capitale, e dopo i primi anni di entusiasmo (oltre che aver imparato a fare surf ho anche imparato a costurire tavole da surf, cosa che mi piacerebbe riprendere a fare, molto piu’ del surf in se) da qualche tempo a questa parte, grazie fondamentalmente alla bici, ho ripreso coscienza di quello di cui mi stavo privando:

l’ebike permette accesso a tanto “freeride” …
cambia il mezzo, ma non il concetto … off the ground …

IL FREERIDE

Il surf non e’ freeride. Forse ne condivide il “feeling” ma non lo spirito in se. Purtroppo ci sono voluti secoli perche’ mi entrasse in testa. O almeno, non lo puo’ essere x un comune mortale. E con l’affollamento degli spot non si puo’ assolutamente applicare una “pratica ludica e soft” al surf, e alle sue regole non scritte.
Ecco parliamo di REGOLE. Una caratteristica di tutto quello che e’ freeride e’ proprio l’assenza di regole precise, tranne che quelle che detta Madre Natura.
Non ci sono regole dettate dall’uomo se sto scendendo da un pendio innevato, le uniche regole sono quelle relative a pendenza, esposizione, tipo di stratificazione della neve. Le regole che devo conoscere per sapere dove andare. Tutto qui. Non ci sono precedenze. NO PRIORITY, questo e’ il freeride.

L’unica affinita’ che tiene e’ quella relativa alla ricerca della perfezione, perfezione che ha un valore del tutto personale. La linea in neve fresca perfetta, il trail perfetto, l’onda perfetta sono tutti valori soggettivi che possono cambiare in ogni rider.

Ultimo e non meno importante, si puo’ cercare di rinngeare le proprie origini, si puo’ cercare di sotterrarle, ma se si scopre poi che il “nuovo mondo” non ci appartiene non c’e’ verso.
Prima o poi le origini ricompariranno, e la voglia di ricominciare da “dove tutto e’ iniziato” sara’ piu’ forte che mai.

Non escludo comunque il dare qualche chance ancora all’h2o , ma con qualcosa di diverso che meglio rispecchi questo spirito …

NB: per chi non ha esperienze surfistiche, potrebbe essere un po’ complicato capire il senso di quest’articolo. Ad oggi inoltre i media offrono un immagine sempre piu’ deviata, distorta e surreale di quello che e’ il surf da onda. In Italia, il surf da onda, significa avere molta pazienza per poi essere al posto giusto nel momento giusto. Significa pero’ poi dover “lottare” assieme ad altri surfisti assatanati per avere i propri 10 -15 secondi di godimento assoluto. Questo perche’ la regola non scritta impone 1 surfista 1 onda, ma e’ giusto che sia cosi’ per poter fare curve e manovre in liberta’. Ma il surf non e’ democratico, vige la legge del piu’ forte, del local, del piu’ bravo, ecc ecc. Salvo rare eccezioni in alcuni spot che non lavorano spesso c’e’ da discutere, e per evitare incidenti sia fisici che diplomatici io preferisco evitare queste situazioni. E’ come se in un bikepark ci fosse un unico trail, adatto sia a pro che a principianti, senza possibilita’ di sorpasso, e i pro girassero ad oltranza a trenino su questo trail, impedendo di fatto ai principianti di provarlo. E’ un paragone un po’ forzato ma e’ l’unico che mi viene in mente.

eMTB: Valle Stretta – lago Thures – Nevache

Valle Stretta – Lago Thures – Nevache 2020

L’avere un ebike implica una nuova prospettiva e un nuovo approccio alla salita. Sopratutto se trattasi di salita tecnica, da farsi quasi totalmente a spinta in caso di bici senza motore.
La salita in questione e’ quella del giro della traversata Valle Stretta Nevache via colle di Thures, gia’ affrontata un paio d’anni fa con la Specy. Parliamo di una tratta da circa 450 d+
che si sviluppano in circa 3km, con una pendenza media del 13% e punte fino al 24%, tutta su singletrack non propriamente definibile “uphill flow”. Parliamo di un sentiero non eccessivamente stretto,
ma spesso tortuoso, cosparso di radici fisse e con stretti tornanti in salita. e sopratutto, super frequentato da pedoni.
Ovviamente l’obiettivo era di farne il piu’ possibile in sella. Impresa tutt’altro che semplice, non tanto per le pendenze, tutte a portata di ebike, ma per la relativa esposizione di alcuni tratti e la presenza, come anticipato, di ogni tipo di ostacoli fissi, che ancora non sono capace a superare. Aggiungiamoci il fatto di dover convivere con i pedoni, che non sono assolutamente abituati a vedere una biciclettona a motore che si inerpica per i sentieri, e che sono completamente incapaci di spostarsi in maniera sicura, sia per loro incolumita’ che per quella di chi sale in bici.
Sottolineo che l’itinerario in questione, al confine tra Italia e Francia, e’ inventariato VTT FFC (Federazione Francese Ciclistica) e ne e’ segnalato l’uso promiscuo.
In ogni caso, sono riuscita a pedalare gran parte dei traversi, salendo la tratta incriminata in 43 minuti, contro 1h15 di quel che ci si mette spingendo a piedi una bici muscolare.
Rimane un bel risparmio di tempo, di energia non saprei, in quanto i fuori soglia si sprecaano, sia nelle tratte pedalate che nel superamento in walk delle radici + grosse.

In cima pero’ lo spettacolo e’ sempre degno della salita, sia essa stata compiuta piu’ o meno in sella o a piedi.

lago thures

Il giro prosegue prima per l’ampia prateria per facile singletrack, fino ad imboccare la discesa che ci portera’ a Nevache sul versante Francese. Questa, da me soprannominata “Beethoven” per il fatto che la prima volta che la ho fatta ero inseguita dal maltempo, che rendeva ancora piu’ inquietante l’attacco del trail, e ben si sposava con le note della 5a sinfonia come sountrack.
Stavolta pero’ il meteo ci aiuta, il panorama e’ un po’ meno cupo, ma altrettanto spettacolare. La prima sezione esposta del “Beethoven Trail” e’ sempre da affrontare con cautela, e l’attenzione va mantenuta comunque alta per tutto il serpentone a tornanti discendente, sia per il fondo smosso e a tratti cosparso di pietre fisse e radici, sia per la possibile presenza pedonale in direzione opposta anche su questa linea. Resta sempre un bel trail, un enduro naturale che richede una discreta concentrazione e scelta delle linee.

Arrivati a Nevache, si risale per 2km di asfalto scorrevole fino al Colle della Scala. Scollinato verso l’Italia, al secondo tornante della discesa imbocchiamo un trail che 2 anni fa era ostruito da una frana. Stavolta e’ percorribile, anche qua con cautela: e’ un mezzacosta a tratti molto esposto, fortunatamente poco frequentato. Per sicurezza preferisco passare a piedi i punti piu’ critici. Superata la fase piu’ rocciosa e ricca di sfasciumi, un singletrack senza difficolta’ ci riporta alla strada di Valle Stretta.

Visto che abbiamo il motore, risaliamo ancora una volta gli ultimi 2 tornanti su asfalto per goderci il trail finale, sulla sinistra orografica della valle. Noto anche come “sentiero Lucianina”, questo singletrack presenta molti rilanci e saliscendi, molto divertenti con un ebike, abbinati a parti piu’ guidate con qualche stretto tornante e curve di diverso raggio, snodandosi tra i pini e lasciando intravedere qualche scorcio panoramico sul fondovalle.
Un ottima conclusione per uno dei giri “natural enduro” secondo me piu’ interessanti dell’alta Valsusa, sia per elettrici che non.

(video)

Per concludere, un grande classico che l’ebike rende percorribile in tempi molto ragionevoli, ma che, spingismo a parte vale la pena fare anche con una bella full da trail/enduro.
1000 d+ abbondanti e 26 km, da non perdere se si passa da questa valle.

Relive e traccia:


(traccia)
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