Freeride.

Freeride

Solo chi la ha vissuto, chi lo ha visto nascere, chi ci si identificia dall’inizio puo’ comprendere il significato totale di questo termine.

Credo di avere alle spalle circa .. piu’ di 25 anni di freeride. Con pause, alti bassi, allontanamenti, ma lo spirito nasce da li e li resta.

Ed e proprio stato l’andere via, il tentare qualcosa di diverso, l’allontanarsi da quella filosofia che alla fine mi ci ha ricondotto.

La bici, e ancora di piu’ l’ebike, assieme allo snowboard e sopratutto alla splitboard, mi han fatto trarre una conclusione pesante, ma reale.

Surfing is not freeride. Freeriders don’t surf.

Forse questa affermazione verra’ non condivisa e criticata da alcuni, e verra’ invece compresa da altri.

Per dare un senso compiuto al mio ragionamento, cerchiamo di capire cos’e’ il freeride dalle origini, nelle sue due grosse branche, quella invernale legata allo snowboard (e/o allo sci negli anni successivi, o meglio freeski) e quella legata alla mtb.

Wikipedia recita:

Il freeride, letteralmente guidare liberi, è la pratica ludica e soft degli sport di natura. Riguarda principalmente gli sport di movimento, dei quali sottolinea il contatto con la natura, gli spazi ampi e liberi, il divertimento, in alcuni casi l’importanza del gruppo, rendendo secondario l’aspetto agonistico e competitivo.

Se nello snowboard (e/o nello sci) questa definizione si traduce perfettamente nell’andare fuoripista, con o senza impianti, sempre alla ricerca di nuove linee e pendii da tracciare, nella MTB ha preso in passato alcune connotazioni tali da farla trasformare in una disciplina ben precisa, in cui viene valutato lo “stile” di una determinata discesa su un mix di terreno naturale e strutture costruite, allontanandosi in realta’ da quello che e’ il “freeride” dei comuni mortali, e lasciando spazio ad altre definizioni, tipo “all mountain” e “enduro” – quest’ultimo agli albori – parlo di meta’ anni 2000 quando veniva chiamato anche “Freeride pedalato”, e forse proprio questo freeride pedalato, andato a finire nel dimenticatoio, rappresenta quello che io e molti altri facciamo con la ebike: pedalarsi (aiutati) le risalite per godersi discese sfidanti e divertenti, e magari cercarne sempre di nuove. Un po’ proprio come d’inverno con la tavola o gli sci, quando si inizia ad uscire “fuori dal preparato”.

Questo per me e’ il significato di freeride: “fuori dal preparato, costruito”.

Spesso si cerca il legame tra snowboard e surf. Anche io del resto al surf ci sono arrivata dallo snowboard, perche’ volevo “capire dove tutto era iniziato”.
Una sorta di ricerca personale nel mondo dei boardsports, nel loro passato.
E posso reputarmi fortunata, per due motivi. Per una volta, l’essere “vecchi” e’ un bene, e sono felice di aver vissuto gli anni 90 e il primo decennio degli anni 2000.

Ci sono ancora alcune esperienze che mi mancano e che non so se riusciro’ a fare prima di morire, ma in snowboard posso dire di aver fatto tanto, ho lasciato il mio segno a la Grave e ho surfato powder a luglio a les2alpes. Ho tracciato sul ban per prima tante volte, ho trovato powder in momenti in cui non ci credevo piu’, ho visto la morte in diretta un paio di volte ma sono ancora qua.
Ho ancora un sogno nel cassetto, quello almeno 1 volta nella vita di volare. (helisnow).

bc rep
linee sul Fournier nella prima meta’ del 2000. Immagine di repertorio.
il saltare in snow e’ quel che mi ha portato a saltare anche in bici

Ma non era abbastanza. Un qualcosa mi aveva richiamato alla ricerca delle origni degli sport di scivolamento. Da windsurfista fallita per tutta una serie di ragioni, un qualche legame con l’elemento liquido comunque lo ho sempre avuto, anche se sono cresciuta tra i monti. Cosi’ alla gia’ veneranda eta’ di 30 anni ho imparato a fare surf, e questo ha condizionato un po’ troppo la mia vita con il senno di poi.

Surf ma non solo. Una svolta epocola nella mia vita a 360 che parte dagli occhi e passa per il lavoro arrivando appunto al surf mi ha portato a “rotolare verso sud” e iniziare una “ricerca di un qualcosa che forse non c’e'”.

Dal 2013 sono ufficialmente piu’ o meno fissa nella Capitale, e dopo i primi anni di entusiasmo (oltre che aver imparato a fare surf ho anche imparato a costurire tavole da surf, cosa che mi piacerebbe riprendere a fare, molto piu’ del surf in se) da qualche tempo a questa parte, grazie fondamentalmente alla bici, ho ripreso coscienza di quello di cui mi stavo privando:

l’ebike permette accesso a tanto “freeride” …
cambia il mezzo, ma non il concetto … off the ground …

IL FREERIDE

Il surf non e’ freeride. Forse ne condivide il “feeling” ma non lo spirito in se. Purtroppo ci sono voluti secoli perche’ mi entrasse in testa. O almeno, non lo puo’ essere x un comune mortale. E con l’affollamento degli spot non si puo’ assolutamente applicare una “pratica ludica e soft” al surf, e alle sue regole non scritte.
Ecco parliamo di REGOLE. Una caratteristica di tutto quello che e’ freeride e’ proprio l’assenza di regole precise, tranne che quelle che detta Madre Natura.
Non ci sono regole dettate dall’uomo se sto scendendo da un pendio innevato, le uniche regole sono quelle relative a pendenza, esposizione, tipo di stratificazione della neve. Le regole che devo conoscere per sapere dove andare. Tutto qui. Non ci sono precedenze. NO PRIORITY, questo e’ il freeride.

L’unica affinita’ che tiene e’ quella relativa alla ricerca della perfezione, perfezione che ha un valore del tutto personale. La linea in neve fresca perfetta, il trail perfetto, l’onda perfetta sono tutti valori soggettivi che possono cambiare in ogni rider.

Ultimo e non meno importante, si puo’ cercare di rinngeare le proprie origini, si puo’ cercare di sotterrarle, ma se si scopre poi che il “nuovo mondo” non ci appartiene non c’e’ verso.
Prima o poi le origini ricompariranno, e la voglia di ricominciare da “dove tutto e’ iniziato” sara’ piu’ forte che mai.

Non escludo comunque il dare qualche chance ancora all’h2o , ma con qualcosa di diverso che meglio rispecchi questo spirito …

NB: per chi non ha esperienze surfistiche, potrebbe essere un po’ complicato capire il senso di quest’articolo. Ad oggi inoltre i media offrono un immagine sempre piu’ deviata, distorta e surreale di quello che e’ il surf da onda. In Italia, il surf da onda, significa avere molta pazienza per poi essere al posto giusto nel momento giusto. Significa pero’ poi dover “lottare” assieme ad altri surfisti assatanati per avere i propri 10 -15 secondi di godimento assoluto. Questo perche’ la regola non scritta impone 1 surfista 1 onda, ma e’ giusto che sia cosi’ per poter fare curve e manovre in liberta’. Ma il surf non e’ democratico, vige la legge del piu’ forte, del local, del piu’ bravo, ecc ecc. Salvo rare eccezioni in alcuni spot che non lavorano spesso c’e’ da discutere, e per evitare incidenti sia fisici che diplomatici io preferisco evitare queste situazioni. E’ come se in un bikepark ci fosse un unico trail, adatto sia a pro che a principianti, senza possibilita’ di sorpasso, e i pro girassero ad oltranza a trenino su questo trail, impedendo di fatto ai principianti di provarlo. E’ un paragone un po’ forzato ma e’ l’unico che mi viene in mente.

eMTB: Valle Stretta – lago Thures – Nevache

Valle Stretta – Lago Thures – Nevache 2020

L’avere un ebike implica una nuova prospettiva e un nuovo approccio alla salita. Sopratutto se trattasi di salita tecnica, da farsi quasi totalmente a spinta in caso di bici senza motore.
La salita in questione e’ quella del giro della traversata Valle Stretta Nevache via colle di Thures, gia’ affrontata un paio d’anni fa con la Specy. Parliamo di una tratta da circa 450 d+
che si sviluppano in circa 3km, con una pendenza media del 13% e punte fino al 24%, tutta su singletrack non propriamente definibile “uphill flow”. Parliamo di un sentiero non eccessivamente stretto,
ma spesso tortuoso, cosparso di radici fisse e con stretti tornanti in salita. e sopratutto, super frequentato da pedoni.
Ovviamente l’obiettivo era di farne il piu’ possibile in sella. Impresa tutt’altro che semplice, non tanto per le pendenze, tutte a portata di ebike, ma per la relativa esposizione di alcuni tratti e la presenza, come anticipato, di ogni tipo di ostacoli fissi, che ancora non sono capace a superare. Aggiungiamoci il fatto di dover convivere con i pedoni, che non sono assolutamente abituati a vedere una biciclettona a motore che si inerpica per i sentieri, e che sono completamente incapaci di spostarsi in maniera sicura, sia per loro incolumita’ che per quella di chi sale in bici.
Sottolineo che l’itinerario in questione, al confine tra Italia e Francia, e’ inventariato VTT FFC (Federazione Francese Ciclistica) e ne e’ segnalato l’uso promiscuo.
In ogni caso, sono riuscita a pedalare gran parte dei traversi, salendo la tratta incriminata in 43 minuti, contro 1h15 di quel che ci si mette spingendo a piedi una bici muscolare.
Rimane un bel risparmio di tempo, di energia non saprei, in quanto i fuori soglia si sprecaano, sia nelle tratte pedalate che nel superamento in walk delle radici + grosse.

In cima pero’ lo spettacolo e’ sempre degno della salita, sia essa stata compiuta piu’ o meno in sella o a piedi.

lago thures

Il giro prosegue prima per l’ampia prateria per facile singletrack, fino ad imboccare la discesa che ci portera’ a Nevache sul versante Francese. Questa, da me soprannominata “Beethoven” per il fatto che la prima volta che la ho fatta ero inseguita dal maltempo, che rendeva ancora piu’ inquietante l’attacco del trail, e ben si sposava con le note della 5a sinfonia come sountrack.
Stavolta pero’ il meteo ci aiuta, il panorama e’ un po’ meno cupo, ma altrettanto spettacolare. La prima sezione esposta del “Beethoven Trail” e’ sempre da affrontare con cautela, e l’attenzione va mantenuta comunque alta per tutto il serpentone a tornanti discendente, sia per il fondo smosso e a tratti cosparso di pietre fisse e radici, sia per la possibile presenza pedonale in direzione opposta anche su questa linea. Resta sempre un bel trail, un enduro naturale che richede una discreta concentrazione e scelta delle linee.

Arrivati a Nevache, si risale per 2km di asfalto scorrevole fino al Colle della Scala. Scollinato verso l’Italia, al secondo tornante della discesa imbocchiamo un trail che 2 anni fa era ostruito da una frana. Stavolta e’ percorribile, anche qua con cautela: e’ un mezzacosta a tratti molto esposto, fortunatamente poco frequentato. Per sicurezza preferisco passare a piedi i punti piu’ critici. Superata la fase piu’ rocciosa e ricca di sfasciumi, un singletrack senza difficolta’ ci riporta alla strada di Valle Stretta.

Visto che abbiamo il motore, risaliamo ancora una volta gli ultimi 2 tornanti su asfalto per goderci il trail finale, sulla sinistra orografica della valle. Noto anche come “sentiero Lucianina”, questo singletrack presenta molti rilanci e saliscendi, molto divertenti con un ebike, abbinati a parti piu’ guidate con qualche stretto tornante e curve di diverso raggio, snodandosi tra i pini e lasciando intravedere qualche scorcio panoramico sul fondovalle.
Un ottima conclusione per uno dei giri “natural enduro” secondo me piu’ interessanti dell’alta Valsusa, sia per elettrici che non.

(video)

Per concludere, un grande classico che l’ebike rende percorribile in tempi molto ragionevoli, ma che, spingismo a parte vale la pena fare anche con una bella full da trail/enduro.
1000 d+ abbondanti e 26 km, da non perdere se si passa da questa valle.

Relive e traccia:


(traccia)
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EMTB: Lago Desertes

Lago Desertes

Il giro del Lago Desertes era un altro giro che avevo individuato da un po’, purtroppo rimandato piu’ di una volta causa notizie di frane che ostruivano il percorso. Nei giorni scorsi pero’ noto su un gruppo relativo alla Valsusa un post di un biker che ha effettuato il giro. Chiedo lumi e mi viene confermata la ciclabilita’ della tratta e l’assenza di frane …

Vediamo pero’ in concreto come sono andate le cose.

La prima parte del giro e’ in comune all’ormai noto percorso dei Tornantini di Millaures, ma stavolta anziche’ scendere proseguiamo nella conca, salendo ancora un pelo, e trovandoci davanti ad una prima, spettacolare discesa di 4 traversi con rispettivi tornantini, mai ripida ma su fondo breccioloso e un pelo esposta. Il panorama e’ spettacolare, circondati ovunque da cime appuntite dall’aspetto quasi dolomitico.

desert guglie

Attraversata una piccola frana, si capisce chiaramente dov’e’ il nostro punto d’arrivo: il lago Desertes si trova al di sopra di una specie di collinotto, ma per arrivarci tocca risalire di circa 100d+. Il sentiero resta pedalabile per poco, e alcuni stretti tornanti in salita in contropendenza mi obbligano a scendere e a fare qualche tratto in walk … tratti in walk che diventano sempre piu’ impegnativi, incontrando prima un passaggio gradonato su radici, e poi una canalina che piu’ che una canalina pare una trincea. E qua le cose diventano molto complesse: io e l’ebike assieme nella voragine non ci stiamo. O ci sta lei o ci sto io. L’unico sistema e’, con molta fatica, spingerla dal sellino (senza poter contare sull’assistenza ovviamente) e/o tirarla dal manubrio girandoci attorno. Cosi’ un po’ spingendo, un po’ tirando, un po’ usando il walk stando a cavalcioni delle trincea e avanzando in ginocchio, riesco, molto faticosamente ad uscirne.
Ancora un po’ di walk e ci siamo. Un gruppo di mucche mi accoglie al lago Desertes, che piu’ che un lago e’ una pozza, o meglio una vasca da bagno per vacche, e finalmente prendo fiato e mi guardo in giro. Il posto, lago insignificante a parte, e’ pazzesco, vette appuntite di ogni forma mi circondano, e poco piu’ avanti troneggia imponente l’onnipresente Chaberthon.

Lasciato alle spalle il “lago presunto tale“, inizio la discesa: un classico flow trail naturale che attraversa le praterie, senza niente di difficile e un paesaggio maestoso a fare da sfondo.
Avvistati i primi alberi, il sentiero si perde, e non e’ facile ritrovarlo senza l’uso del GPS. Bisogna seguire letteralmente la traccia, piegando a destra e attraversando una zona un po’ rovinata dal passaggio delle mucche, per poi ritrovare il sentiero che brevemente conduce ad una fontana. Da qua si prosegue su facile classico singletrack alpino , con fondo variabile da compatto a ex mulattiera un po’ piu’ sassosa, qualche tornante ma sempre indicativamente flow senza niente di complicato, fino a sbucare nella strada dello Chaberton.

(video)

Si scende fino alla localita’ Pra Claud, caratterizzata da alcune casette recentemente ristrutturate, e da qui ci si immette sul primo singletrack di rientro, il Colletto Rosso, facente parte della “Irontibi Challenge” (l’anello creato dall’olimpionico di mtb Andrea Tiberi local di Oulx per un evento virtuale).

Il trail del Colletto Rosso e’ uno stretto mezzacosta con qualche saliscendi, esposto e panoramico ma mai difficile, che ci conduce velocemente all’omonima frazione. Anche qua troviamo un’antica grangia ben restaurata. Proseguendo, il trail sempre con qualche saliscendi tipicamente XC, stavolta nel bosco e senza punti esposti, ci conduce all’abitato di Desertes. Continuiamo a seguire le frecce rosse per un’ultima tratta che risale un po’ per poi, con una bella discesa flow che prevede anche qualche passaggio roccioso, terminare la nostra corsa alla borgata di Soubras, poco sotto Vazon. Un’ultimo tratto su sterrata larga carrabile compatta ci riporta alla macchina, in localita’ PierreMenaud da cui ho iniziato il giro.

In totale, 1100 d+ su 26 km, giro di ampio respiro adatto all’elettrica eccezion fatta per la “canalona”, probabilmente se si e’ gia’ in due si gestisce meglio il passaggio delle bici in quella trincea.
Molto divertenti i tracciati “xc” dell’irontibi, belli con l’elettrica ma sicuramente impegnativi con una full da am/enduro non motorizzata, mentre credo che, se dotati di buona tecnica il giro sia ben apprezzabile anche con un frontino. Volendo si puo’ allungare partendo da Oulx o da Beaulard, aggiungendo ancora o la discesa diretta su Oulx (o quella via Villaretto), oppure, risalendo a Vazon, proseguire con altri due segmenti della Irontibi, il mezzacosta Chateaux Vazon e il divertentissimo e veloce Bealard Superflow. In questo modo il dislivello dovrebbe diventare sui 1500.

Relive

Traccia gps gpx

https://it.wikiloc.com/percorsi-bici-elettrica/lago-desertes-elettrico-54845191

E-MTB: Malamot

EMTB : Malamot

Forte Malamot, 2914 mt slm, zona Moncenisio. Anche questo percorso era in lista da un po’, rinviato di continuo in quanto trovare condizioni meteo idonee per salire a sfiorare i 3000 richiede un po’ di fortuna. Destino vuole che la giornata di Ferragosto sia quella dal meteo piu’ propizio, e allora andiamo ad affrontare questo giretto: con l’elettrica la salita non presenta alcuna difficolta’, e in poco piu’ di 1 ora e mezza si arriva in cima partendo dalla sponda ovest del lago guadagnando 900 d+. La salita e’ piacevole, mai troppo pendente, se ne fa buona parte in eco e la ritengo in gran parte pedalabile anche senza un mezzo elettrificato, l’unica difficolta’ puo’ essere dovuta all’altitudine. In zona Moncenisio avevamo gia’ visistato un paio d’anni fa il Col Sollieres, sul versante Francese. Anche qua il paesaggio e’ quello quasi extraterrestre di questa zona, e piu’ si sale piu’ lo spettacolo si fa interessante, spaziando dalla panoramica sul lago al ghiacciaio del Giusalet.

Per arrivare in cima le uniche difficolta’ sono dovute a qualche pezzo particolarmente sassoso, non insuperabile dall’ebike, ma preferibile almeno per me l’uso del walk, onde evitare inutili danni al mezzo causa pietre mobili. Ed e’ in uno di questi passaggi che incrocio un ebiker con una Levo, che malgrado la rottura di un raggio prosegue il giro fino al forte. Oltre ai sassi, l’altra sorpresa e’ data da un nevaio sull’ultimo traverso. Anche qua il passaggio della bici non e’ stato dei piu’ intuitivi, e le five-ten si che grippano sui pedali, ma sulla neve diventano assolutamente scivolose e prive di ogni supporto.

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neve

In qualche modo comunque si passa, e si raggiunge il forte, risalente a fine 800. Da qua , oltre alla classica e onnipresente vista sul lago, ci si puo’ sporgere dal versante opposto e ammirare dall’altro il Lac Blanc e altri laghetti, a valle di quel che resta del ghiacciaio del Giusalet. Tra le rocce a picco verso i laghetti, riesco anche a scorgere e fotografare uno stambecco

A quasi 3000 metri fa freschino, quindi decido di invertire la rotta e iniziare a cercare la linea di discesa. E qua inizia il bello ….

Ripercorsi un paio di tornanti a ritroso, si lascia la strada principale, iniziando con una parte in freeride in direzione di un traliccio elettrico e poi di una cresta. Si percorre quel che resta di una strada, per poi attraversare una successione di divertentissimi rockgarden inframezzati da zone piu’ pratose, puntando ad un sentiero di cresta. Questa sezione e’ divertente e spettacolare, sembra di fare freeride sulla Luna o su di un’altro pianeta, e ci si puo’ divertire spaziando nella scelta della linea che si reputa piu’ divertente, fino a raggiungere il sentiero di cresta, dal cui attacco la vista sul lago non lascia indifferenti, ma inizia a destare qualche piccola preoccupazione.

cresta

Video della prima parte “freeride” della discesa

La traccia e’ chiara: tocca fare il sentiero di cresta. Ritrovo il biker con la Levo incontrato lungo la salita. Il sentiero di cresta, a tratti esposto su ambo i lati, e’ quasi completamente ciclabile eccezion fatta per un paio di passaggi letteralmente da “brivido”, dove occorre far passare la biciclettona a mano con la dovuta attenzione. Le parti scorrevoli pero’ sono semplici, e l’adrenalina di questi passaggi e’ unica, ma richiede la dovuta cautela. Arrivati all’apice della cresta la parete si apre un po’ a triangolo, e inizia la discesa a picco sul forte Pattecruse. La prima sezione e’ ripida e scassata, e ben presto la paura prende il sopravvento, anche perche’ gli spazi sono ancora angusti e la pendenza non indifferente. Affronto quindi una tratta a piedi, per poi rifare un pezzo in sella, fino a ritrovarmi in un traverso ripido e parzialmente esposto, pressoche’ impossibile da passare in sella per un comune mortale.
Superato quest’ultimo ostacolo, il sentiero torna guidabile anche se sempre ripido e scassato, su fondo irregolare e smosso, fino a tornare “umano” e , con due ultimi tornanti raggiungere il forte.

Video Cresta e Discesa:

Da qua ci si puo’ reputare sani e salvi, e con una semplice ma panoramica strada militare si riscende fino al punto di partenza ad altezza lago.

Concludendo: salita semplice, tranquilla, fattibile secondo me senza eccessivo sforzo anche senza ebike. Discesa da dividere in due, o meglio in tre. Prima parte, fino al sentiero di cresta, puro freeride super divertente, poi sentiero di cresta richiede attenzione e cautela nei passaggi esposti che, almeno per me, sono risultati spaventosi anche a mano. Discesa probabilmente da reinterpretare, nella prima sezione se anziche’ seguire il sentiero che e’ molto scavato si tenta una linea alternativa forse si sta anche di piu’ in sella, ma il traverso “diversamente scorrevole” e’ inevitabile. Passato quello pero’ , abbiamo un ultima sezione impegnativa ma divertente, a patto di avere un mezzo idoneo (full con una buona escursione). Il rientro poi per la militare e’ un po’ lunghetto, ma il giro vale.
Sconsigliato ai deboli di cuore e a chi soffre di vertigini. Panorami super e tanta adrenalina, raggiungibili con una salita relativamente tranquilla
.

Ringrazio il biker con la Levo che ho avuto la fortuna di incontrare per avermi atteso lungo le parti piu’ esposte 😉

Relive

Traccia (da usare a proprio rischio e pericolo !!!):

https://it.wikiloc.com/percorsi-bici-elettrica/malamot-emtb-54796838

EMTB: Traversata Colle della Rho – Colle di Valle stretta

eMTB Valsusa: dal Colle della Rho al Colle di Valle Stretta.

Ci sono dei giri “epici“, quasi irraggiungibili per il comune mortale. Questo e’ uno di quelli, uno di quei giri che avresti sempre voluto fare, ma che non avresti mai portato a termine con la giusta lucidita’ senza un ebike, rischiando di trasformare un attivita’ piacevole in una lotta alla sopravvivenza. Gia’ negli anni passati mi era balenata l’idea di affittare un ebike e azzardarlo, ma per svariati motivi (in primis quello di non trovare compagni di avventura) avevo rinunciato. Ora l’elettrica ce l’abbiamo, e il giro epico del colle della Rho era all’inizio della to-do-list estiva valsusina. Restava comunque da trovare un socio/a disposto a condividere questa lunga traversata e a mettere alla prova le doti arrampicatrici dell’ebike e l’autonomia della batteria.
Grazie a Facebook riesco a intercettare Daniele (MTB Explorer360), guida mtb e emtb local delle Rive Rosse ma che opera un po’ in tutto il NordOvest, curioso anche lui di verificare la fattibilta’ del giro con un elettrica.

Ci troviamo quindi alle 9.30 a Bardonecchia, e iniziamo la lenta salita verso il Colle della Rho. Si procede in eco fino a GrangeRho, poi le pendenze aumentano, e devo portare il mio Bosch in modalita’ Tour. Il fondo e’ mediamente buono, e senza fatica prendiamo quota, attraversando ampie praterie, fino a raggiungere la famosa galleria del colle della Rho. Il particolare passaggio e’ stato restaurato di recente, e il suo attraversamento regala un ulteriore tocco di originalita’ al giro.

Lasciato il tunnel ci troviamo nei pressi della Caserma Pian dei Morti, da qua il paesaggio diventa sempre piu’ maestoso, e con qualche sforzo in piu’ arriviamo al Colle della Rho, punto piu’ alto del giro (2540 slm) e confine tra Italia e Francia. Abbiamo tirato su gia’ 1200 d+ abbondanti, e la mia bici ha consumato due tacche di batteria.

Iniziamo quindi la prima discesa del giro, sul versante Francese. La giornata limpida e’ perfetta, e permette di godere di un ampia vista fino ai ghiacciai della Vanoise. Ma bisogna restare concentrati, in quanto il primo pezzo della discesa e’ abbastanza tecnico e prevede un fondo ampiamente breccioloso e smosso, qualche tornante stretto e passaggi su roccia mix tra fisso e smosso, per poi diventare piu’ flow nell’ultima sezione. Non mancano le sorprese, quali un nevaio ad interrompere la traccia, facilmente aggirabile.

(video)

Proseguiamo poi tenendoci a sinistra, e percorrendo uno spettacolare e panoramico flow trail a mezzacosta che attraversa siepi di rododendri (la stagione ahime’ non e’ quella giusta) dal fondo perfetto, quasi a sembrare una linea di bikepark, fino a raggiungere un avvallamento dal quale la pendenza si inverte, portandoci ad affrontare poi il pezzo piu’ arduo della giornata ovvero la salita al colle della Replanette.


La salita alla Replanette e’, teoricamente, pedalabile con ebike. Dico teoricamente perche’ le pendenze non sono fuori portata, ma il fondo e’ bruttissimo, pieno di ciotoloni, a tratti scavato, e ci costringe ben presto ad utilizzare la modalita’ walk. A tal proposito mi permetto di consigliare questo giro solo con ebike che abbiano un buon walk mode, altrimenti questa sezione rischia di diventare veramente complessa da oltrepassare.
Con molta fatica scolliniamo nuovamente: non e’ facile trovare le parole per descrivere l’immensita’ delle vette che ci circondano. Intravediamo il refuge du Thabor e il colle di Valle Stretta, nostro prossimo target prima di affrontare l’ultima discesa verso il versante Italiano. Un’altro traverso, in leggera salita sempre pedalabile ci porta al Colle: siamo circondati da cime dall’aspetto dolomitico, e vediamo gia’ il flow trail che ci aspetta in discesa attraversare ampie praterie dove le mucche al pascolo sono di casa.

Si scende, divincolandosi un po’ tra mucche e qualche pedone (siamo vicini alla frequentatissima Valle Stretta e il numero di escursionisti e’ consistente, prestare attenzione) , con prima parte molto flow naturale intervallata da passaggi su roccia fissa, poi una sezione in cui siamo costretti a scendere in quanto decisamente erosa e non ciclabile, poi , passato un torrentello, ci aspetta una zona con frequenti passaggi su roccia quasi in piano, tecnica e mentalmente impegnativa, ma ottima per sfruttare appieno le potenzialita’ del mezzo elettrico. Purtroppo ci aspetta ancora un tratto che ci obbliga a smontare dal mezzo, che attacca con un rockgarden su pietra fissa ancora quasi fattibile, poi traccia inesistente e sfasciumi di ogni genere rendono impossibile il passaggio almeno per un rider di medio livello. Ancora qualche curva, e siamo al Piano della Fonderia, al fondo della Valle Stretta.

(video)

I giochi non sono ancora chiusi pero’, e ci aspetta l’ultimo classico flow trail che discende la valle. Molto interessante la seconda parte, che non avevo mai fatto , ma che con ebike diventa davvero divertente , offrendo una sezione guidata nel bosco niente male, una gradita sorpresa a fine giro.

Con un elasped time di 6.50 h , e quasi 1600 d+ affrontati concludiamo questa splendida grande impresa elettrica.

Concludendo: un giro spaziale, con lunghe discese e/o tratti pedalabili e piacevoli sempre sopra i 2000 mt slm, eccezion fatta per l’ultima discesa di Valle Stretta tutti i sentieri sono in alta quota, girando in un contesto grandioso di alta montagna, tra sfasciumi, praterie e guglie imponenti. Anche con ebike necessita di un discreto allenamento, le salite sono sempre impegnative e chiedono lavoro al motore. Una cosa e’ certa, senza il mezzo motorizzato il giro sarebbe stato fuori portata e poco godibile. Ovvio che chi ha buona gamba e non ha problemi a spingere e/o a portarsi a spalle la bici puo’ effettuare il giro anche con una bici tradizionale muscolare.

Relive

Traccia gps gpx (da usarsi sotto la propria responsabilita’ itinerario in alta quota con copertura cellulare limitata)

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Ringrazio Daniele x aver condiviso con me questo super giro e per le foto .

eMTB Valsusa: Lac Lavoir

Lac Lavoir Valle Sretta

Il disporre di un ebike consente un approccio diverso all’uso della bicicletta in montagna. La salita non e’ piu’ semplicemente il noioso mezzo per raggiungere la discesa, ma diventa anch’essa una sfida tecnica e fa parte del gioco. Ma non solo, le grandi doti arrampicatrici di questa Mondraker permettono di avventurarsi su percorsi normalmente preclusi alle bici, a meno di non essere amanti dello spingismo piu’ o meno fine a se stesso. Entrando in quest’ottica e’ possibile, anche senza impegnare un intera giornata, raggiungere posti spettacolari in quota pedalando su trail genericamente usufruibili soltanto a piedi. E’ il caso ad esempio del Lac Lavoir, bellissimo laghetto a quota 2300 circa raggiungibile dal fondovalle della Valle stretta (piano delle fonderie).
Arrivare al fondovalle con l’elettrica e’ poco piu’ che una passeggiatina. In mezz’ora si arriva da Pian del Colle al rifugio 3o alpini (tutto in eco) e con altri 15 minuti fino al piano della Fonderia (un breve tratto in tour, non per la pendenza ma per il brecciolato). Da qua inizia la salita vera.

Impostiamo l’assistenza su emtb, la modalita’ presente sui motori bosch che permette l’adeguamento del lavoro del motore in base alla pedalata, e ci apprestiamo a salire per una sterrata a tratti mediamente scassata fino alla Maison des Chamois, ultimo presidio umano inerpicato sulla partete nord del fondovalle. Lasciate le costruzioni, la strada si stringe diventando sentiero, e attacca subito una bella rampa fortunatamente dal buon fondo, che spiana nei pressi di un punto panoramico ben segnato da una croce.

Da qua si entra in un ampia conca, e le conifere gia’ ormai rade lasciano posto ad ampie praterie. Si prosegue seguendo il torrente e alternando tratti pianeggianti a qualche rampa, mai lunga ma dal fondo sempre breccioloso: in due occasioni sono stata costretta al potentissimo walk mode, anche per la presenza di molti escurisonisti a piedi. Conviene guardarsi in giro e cercare linee alternative, magari sull’ereba quando possibile piuttosto che seguire palesemente il trail, se ne guadagna in pedalabilita’. E infatti, a pochi metri dal lago notando che il sentiero diventa sempre piu’ scassato anche se non ripido, decido di arrampicarmi su una collinetta in mezzo ai prati, per poi ritrovarmi a cospetto del lago, poco piu’ in alto.

Sempre in freeride scendo fino in riva allo specchio d’acqua … qualche minuto di pausa per le foto di rito e per ammirare il paesaggio, e poi si inverte la rotta.

lavoir 1

lavoir 2
me lavoir

Il primo pezzo di discesa segue, eccezion fatta per qualche variante freeride, la linea di salita. Poi da poco sopra la maison du Chamois, prendo una variante piu’ stretta e tecnica, dove le skill di schiacciasassi del bicione vengono ben evidenziate. Occorre prestare molta attenzione ai pedoni, ricordiamoci che hanno la precedenza e di comportarci in modo corretto. Riprendiamo ancora per qualche metro lo stradotto largo, per poi pero’ lasciarlo in favore di un trail molto naturale gia’ sperimentato lo scorso anno con la specy.
Ritornati al piano delle Fonderie, la discesa e’ la classica flow della Valle Stretta, forse un pelo piu’ sporca che in passato ma ancor piu’ apprezzabile con il bicione schiacciasassi.

Dopo 19.5 km (di cui 9.5 di discesa) e quasi 800 d+ ritroviamo il qubo, con grande soddisfazione per il comportamento del mezzo motorizzato.

Per concludere: l’ebike apre nuovi confini, nuove prospettive e offre una liberta’ di azione che con un mezzo privo di motore e’ impensabile. Porta con se un grande spirito freeride, e incentiva la voglia di esplorare e vivere la montagna in liberta’. Ma a tutto questo c’e’ un ma. I bikers, e sopratutto gli elettrici, sono un po’ gli ultimi arrivati sui trail a “bollino cai”. Ieri ero da sola, ma un gruppo anche solo di 5/6 elettrici avrebbe avuto non facile convivenza con i pedoni. Sarebbe opportuno, in mancanza di una regolamentazione specifica, cercare giri sempre ad anello, evitare i doppi sensi su sentieri stretti e prediligere, perlomeno in salita, linee non frequentate da pedoni, e moderare la velocita’ in discesa. Solo comportandoci in maniera corretta potremo evitare la comparsa di divieti nei nostri confronti.

Video Log

Il futuro e’ elettrico

Chi mi segue sa che la cosa era nell’aria da un po’. Malgrado i rulli, la buona forma fisica post lockdown , sono bastati un paio di giri lunghi per darmi la batosta finale e per farmi prendere la sofferta decisione: prendere una bici elettrica. Un fallimento o un nuovo inizio ? Sara’ solo il tempo a dirlo. Al momento vi presento la nuova schiacciasassi motorizzata, una Mondraker e-crafty alimentata da un motore Bosch, batteria da 500 Wh, forka fox 36 e ammo RockShox SuperDeluxe. Un mostro caratterizzato dalla forward Geometry, che dovrebbe permettere una guida sempre centrale senza eccessivi spostamenti di peso avanti o indietro a seconda della pendenza.

ebike

Sono in Valsusa da un paio di giorni e sto iniziando a testare il nuovo mezzo. L’idea e’ quella di rendere possibile l’impossibile, affrontando giri con salite fuori luogo, improponibili con le proprie gambe per una pippa intergalattica come la sottoscritta e affrontabili solo a spingismo. Vedremo cosa riusciremo a fare. Per il momento sto testando l’autonomia e la funzionalita’ in discesa. Vediamo come e’ andato questo nuovo, elettrico, inizio.

Il primo giorno sono uscita direttamente da casa, percorrendo un giretto da 750 d+ abbastanza impegnativi. Dopo una breve salita su asfalto, abbiamo esplorato un trail che avrei voluto percorrere in discesa in senso opposto: il mezzo motorizzato sale senza particolari problemi, usando l’assistenza “automatica” della modalita’ emtb la centralina riesce a ben erogare la potenza necessaria a superare rampe improbabili. Purtroppo un paio di tronchi caduti mi fanno desistere dal proseguire. Invertita la rotta, proseguo il trail a ritroso. In discesa tocca prenderci le misure: il peso si sente tutto e ogni manovra necessita il giusto anticipo. A seguire, un trail “misto” con un rilancio abbastanza ripido … e in tail condizioni e’ inutile dire che il motore fa la differenza. L’ultima sezione e’ piuttosto scassata, con pietre fisse e mobili a rendere il tutto piu’ complesso. Ci va un po’ di coraggio e di fiducia, ma una volta impostata una linea il bicione va giu’, schiacciando ogni cosa incontri sulla traiettoria.
Direi non male come primo approccio ai sentieri alpini … tacche consumate 1 … I presupposti sono interessanti.

Per confermare quanto “assaggiato” oggi ho deciso di aumentare i D+, scegliendo un giro che mi portasse fuori dal caldo e dalle zone piu’ frequentate. La scelta e’ caduta su Cima Bosco, meta nota sopratutto nella stagione invernale, ma che gia’ avevo visitato con la specy in modalita’ esitiva.
Oggi per risparmiare asfalto saliamo da una scorciatoia interna … ripida per le mie gambe, non per il motore Bosch del bicione. Superate le rampe, riposiziono l’assistenza su eco e continuo senza fretta a salire nel bosco. Giusto alcuni punti piu’ aperti mi permettono di ammirare il maestoso paesaggio dominato dal Monte Furgon, che e’ un po’ la costante di questo giro.
A pochi metri dalla vetta mi attende un ultimo strappo … che sfiora il 30% di pendenza. Con un po’ di timore metto l’assistenza su emtb e il rapporto + agile. Inizio a girare i pedali … e il mostro sale senza problema alcuno, e raggiungo in sella la cappelletta di Cima Bosco.

Tempo di fare qualche foto e di cambiare assetto, e incontro due altri bikers non motorizzati che non conoscono la discesa e mi chiedono di accompagnarli lungo il sentiero
Inizia quindi lo spettacolare flow trail naturale, #nientedidifficile, sentiero pulito e curve a raggio medio ampio, l’ideale per iniziare a prendere fiducia con lo schiacciasassi..

C’e’ da approfondire ancora e da lavorare, non si impara a guidare uno schiacciasassi in un giorno.
Ci saranno nuove sfide e un nuovo approccio alla montagna, e sopratutto al dislivello positivo 😉

ilfuturo e’elettrico

#staytuned

relive cima bosko

MTB: DuneMosse – Miralago

Carsoli – Lago del Turano – Dune Mosse

Il countdown che ci riportera’ finalmente a Nordovest e’ iniziato, e questo che e’ appena trascorso e’ l’ultimo weekend che passo nella capitale, prima della pausa estiva. Luglio e’ il mese che forse piu’ odio trascorrere in una grande citta’ come Roma… fa caldo, e fare attivita’ all’aria aperta implica fare tanti kilometri in macchina… e non sempre questo e’ possibile, sopratutto infrasettimanalmente quando il traffico, ormai tornato alla normalita’, puo’ trasformare un’uscita fuori porta in una lunga permanenza sul GRA (Grande Raccordo Anulare per chi legge da fuori).La conseguenza e’ che quell’ottimo stato di forma che avevo raggiunto dopo il lockdown, sta pian piano lasciando il posto alla mia consueta pippaggine e lentezza. Non sono un atleta, la genetica non mi ha aiutato, allenarmi in maniera sistematica quando ho “altre cose piu’ divertenti” da fare non e’ cosa per me … il futuro sara’ elettrico questo ormai e’ chiaro. Ma in attesa di trovare un mezzo motorizzato compatibile con le mie esigenze anatomiche e finanziarie, continuo a spingere la specy e a esplorare nuove location. E proprio per concludere questo luglio malefico scelgo di tornare con i ragazzi di Bicinatura a provare un giro inedito per tutti. Siamo poco oltre Carsoli, sulle sponde del lago del Turano, e da qua saliremo ad affrontare un sentiero chiamato dune mosse. Il nome non mi ispira fiducia, ma ho voglia di posti nuovi, e poi se non sono troppo lontani da casa ancora meglio.

L’appuntamento e’ alle 8.30 , prestino per i miei standard, ma oggi comunque preferisco non fare troppo tardi visto che ormai sono nell’ottica della partenza. Ormai ho capito che maps non conosce Qubo e le sue limitate performance in salita, e che 10 minuti in piu’ di quel che dice il navigatore van sempre presi in conto. Alle 7.15 circa sono in macchina, e arrivo giusto puntuale all’appuntamento.

L’itinerario prevede una primo avvicinamento su asfalto pressoche’ pianeggiante, e poi si inizia a salire, sempre su asfalto, tranquillo e poco trafficato. Non fatico piu’ di tanto ma non riesco a tenere il ritmo del gruppo, o meglio potrei anche provare a forzare un pelo ma il rischio di crollare e’ alto. Gia’ cosi’ la mia media non supera i 6.1 km/h , con una VAM di 414 d+/h. Insomma sono tornata ai miei standard “medi”. Lasciato l’asfalto, ci si inerpica su una carrereccia dal fondo smosso che fortunatamente resta sempre all’ombra di una pineta: eccezion fatta per una breve tratta, sarebbe tutta pedalabile o quasi, ma le mie gambe non sono in grado, quindi non resta che la solita soluzione: spingismo.

E a spingismo con poche interruzioni raggiungiamo il punto piu’ alto, attorno a quota 1200: l’arietta e fresca e si gode di un bel panorama.

dunemosse top


Ancora pochi metri ci separano dalla discesa: si parte con un tratto nel sottobosco, che ben presto lasciamo in favore di spazi piu’ aperti, ma con un terreno smosso tipo stradotto dismesso e privo di manutenzione che mi crea non pochi problemi. Le pietre mobili fanno da padrona spesso e volenteiri, mettendomi paura e impedendomi di apprezzare appieno il trail. Fortunatamente a rendere il tutto piacevole c’e’ la vista sul lago del Turano che non lascia indifferenti.

top
lake
down

Ma serve concentrazione e fiducia per riuscire a superare queste sassaie. Fiducia che non ho, in queste situazioni a me ancora ingestibili, il mio confidence level scende sottozero, e la fiducia nel mezzo e’ nulla. In pratica sono spesso costretta a scendere, anche in tratti dove le pendenze non sono di certo il pericolo, ma l’imprevedibilita‘ della guida sullo smosso non fa parte del mio repertorio e non so se mai lo fara’ … non con questo mezzo almeno.

Scendendo si alterna qualche tratto piu’ “scorrevole” a qualche passaggio piu’ tecnico, il caldo non aiuta e non riesco a concentrarmi. Gestire la bici che “scapretta” (termine coniato nella giornata odierna) non e’ cosa semplice e l’idea di andare in terra sulle pietre rotolanti non mi alletta piu’ di tanto. Non e’ il mio trail e forse nemmeno la mia giornata, ma non sempre le aspettative vengono mantenute. E poi questa discesa era “blind” per tutti. L’unica certezza erano i paesaggi indubbiamente piacevoli e l’arrivo sulle sponde del lago che quasi inviterebbe ad un bagno.

lago

Per concludere … ci sono trail che mi lasciano conti in sospeso e che mi fan venire voglia di ritornarci a “risolvere i conti in sospeso”. Questo no. La mia poca affinita’ con il fondo smosso fa si che, almeno finche’ la stumpjumper sara’ la mia bici, queste pietre che rotolano e’ meglio lasciarle da parte. Vedremo se in un futuro “elettrico” , quindi con un mezzo indubbiamente piu’ stabile in queste circostanze potro’ cambiare opinione su questo tipo di terreno.

Video : ho apprezzato i panorami piu’ rivedendo la discesa che non dal vivo … tanto era la mia preoccupazione per le pietre rotolanti …

Traccia
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Si ringraziano gli amici di Bicinatura per la guida, la compagnia e sopratutto la pazienza.

NB: il giudizio sul trail e’ estremamente soggettivo. Io non ho mai avuto un buon rapporto con il terreno smosso. Forse nel futuro elettrico con un mezzo piu’ stabile diventero’ in grado di apprezzare di piu’. Per il momento diciamo proprio che non e’ il mio genere di percorso …

MTB: Monte Calvo

Monte Calvo (AQ)

Ammetto che stavo studiando questo giro da un po’, sempre su ispirazione del solito Bicinatura.
C’erano due cose che non mi convincevano: 1) lo spingismo 2) il lungo transfer su asfalto su strada statale. Fortunatamente con il gruppo degli elettrici si riesce a organizzare un recupero, risparmiando se non altro i 10km di asfalto, noiosi e pericolosi.
Come sempre, quando il gruppo e’ tutto elettrico, non tutti i giri sono fattibili in convivenza pacifica. Se devo dare una valutazione, questo si pone in una situazione intermedia, vediamo un po’ il perche’ ed il come e’ andata. Google maps mi dice che il punto di partenza (una a me ignota localita’ a 10km dall’uscita L’Aquila ovest) e’ a un ora e mezza da casa, ma ormai conosco il mio “pollo” e so che con la lentezza di Qubo ci vorranno quasi 2 ore. Pazienza, speriamo valga la pena. Organizzate le operazioni di recupero, si sale, su una bella stradina asfaltata che tiene il 10% costante e che tira su 100 d+ ogni km. Il mio “peso morto” si fa sentire gia’ dal secondo km. Diciamo chiaramente che, con il dovuto allenamento, finche’ le pendenze non superano il 6-7% stare in scia ad un elettrico in eco non e’ fuori portata , ma le cose diventano ben diverse quando devo mettere il 46 e salire pian pianino. Sottolineo che la strada, avendo buon fondo asfaltato e’ pedalabilissima e la avrei pedalata tutta, con i miei tempi. Ma per non aspettare troppo agganciamo la famosa “cima di recupero” e recuperiamo 1km/h abbondante sulla mia media, arrivando rapidamente alla fine dell’asfalto, in corrispondenza di un ripetitore.
Il posto gia’ da qua offre panorami gia’ di “montagna”, o perlomeno, ad ampi spazi aperti con praterie e sassi sparsi, lasciando per un po’ da parte le consuete faggete che sono un po’ il default appenninico.

calvo ripetitori

Bisogna continuare a salire …e le pendenze diventano sempre + imporanti e il fondo sempre peggiore: per me non resta che una soluzione, ovvero lo spingismo. E mentre quasi tutti gli elettrici riescono a salire in sella io spingo , spingo e spingo, fino ad una scassata strada mezzacosta che torna pedalabile.

calvo mezzacosta
calvo 2

Raggiungo cosi’ a quello che sara’ per me, Guido, Massimo e Pino il punto d’arrivo. Gli altri, coraggiosi, azzardano la salita in vetta, ovvero ancora 200 d+ di cui parti a spinta anche con l’ebike. Diciamo pure di aver spinto abbastanza e di non essere particolarmente propensa a questo tipo di giri, anche se immagino che il sentiero di cresta possa valere la fatica.

croce calvo

Anche dalla nostra “anticima” comunque il paesaggio non e’ male, e per certi versi, ricorda il monte Fasce sopra Genova, ma in un contesto compltamente differente, e fortuntamente, meno esposto.

calvo down
calvo mybike

Dopo una lunga attesa a tratti al freddo, ricompattiamo il gruppo e iniziamo la vera discesa, che non delude.
Si parte con un lungo traverso, molto panoramico, a cui segue una parte in pieno freeride giu’ per le praterie fino alle prime faggete. Da qua, la musica cambia, con un sentiero in terra fondamentalmente flow che ogni tanto nasconde qualche tratto insidioso e qualche tornante , perdendo quota varia anche la vegetazione, e, stranamente, si osserva la presenza di conifere. Varia anche il fondo, diventando a tratti molto breccioloso, e dopo un rilancio, inizia quella che forse per me e’ la parte piu’ bella, una serie di stretti tornantini, un po’ in stile Torretta o Infernet, con cui mettersi alla prova. Un totale di 11 kilometri di discesa , molto vari e mai banali , raggiungibili in fondo con “solo” 9.5 km di salita (su 800 d+) facendo recupero. Volendo pedalarsi l’asfalto, c’e’da aggiungere 10km di statale che “dolcemente” guadagnano 300d+.

Il giro e’ stata anche l’occasione per provare la mia nuova “gopro dei povery”. La xiaomi ahime’ mi ha tradito, e ho dovuto optare per questa ApeCam dalle discrete recensioni. Purtroppo pero’ sono riuscita ad editare solo i file a bassa risoluzione, quindi perdonatemi se i filmati non sono come speravo. E spero anche di ricredermi su questa action cam.

Traccia con recupero

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Ringrazio Guido, Giuseppe, Roberto, Orlando e tutti gli altri Elettrici che mi han fatto da skilift e pazientato durante le tratte spingistiche. Il giro comunque, se fatto senza vetta, visto comunque il ridotto sviluppo kilometrico della salita, e’ fattibile tranquillamente da gruppi misti senza eccessivi “squilibri temporali”

MTB: Zi’ Chiccu

Zi Chiccu, stairway to flow…

Zi Chiccu: credo che piu’ o meno chiunque vada in MTB con orientamento AM/Enduro nel lazio abbia sentito perlomeno parlare di questo trail mitologico. A dirla tutta e’ stato uno dei primi report che ho letto sul sito Bicinatura quando ho ricominciato con la MTB e cercavo giri che matchassero i miei gusti, rimanendo colpita dai video e dalla descrizione del trail, un natural flow da 11 km che per venir conquistato pero’ richiedeva un’eterna pedalata di 28 km su 1300 d+. Cosa che 3 anni fa era sicuramente fuori dalla mia portata. Adesso, visto il momento di bike positivity e un allenamento presumibilmente “quasi accettabile” le potenzialita’ per chiudere il giro senza incontrare troppi santi lungo la strada ci sono tutte. Non era in realta’ questo il programma per ieri: sarei dovuta spararmi quasi 3 ore di macchina per andare a girare all’Amiata con le #RagazzeFreeride, ma, da una parte la proposta dei miei amici elettrici Guido e Giuseppe, dall’altra lo stato meccanico non ottimale dela mia bici, dall’altra ancora che 3 ore di macchina sono tante, guardo il meteo e decido: NOW OR NEVER, adesso o mai, in quanto Zi Chiccu ha uno sviluppo altimetrico con range 450-1600 circa, con conseguente “finestra” per svolgerlo in sicurezza e divertendosi piuttosto limitata, sopratutto se non si dispone di un ebike. Mi spiego meglio … la parte bassa puo’ anche essere molto calda … mentre poi si sale di quota e il clima puo’ cambiare, il giro e’ lungo (il mio logging time e’ stato di 8h41 minuti), quindi per una/o rider muscolare con allenamento appena sufficente ad affrontare tale dislivello (ma sopratutto kilometraggio) la finestra di svolgimento del giro si limita al periodo che va da giugno ai primi di luglio, a cui va aggiunta la condizione – almeno per chi come me soffre il caldo tantissimo- di avere alla partenza una temperatura sotto i 30 gradi.
Ieri dunque tutte le condizioni erano al top, e questa occasione non potevo farmela sfuggire.
Si parte dunque, con quasi 1h di anticipo nei confronti dei miei due compagni d’avventura elettrici che mi raggiungeranno lungo la via.

Il luogo di partenza e’ Borgo Velino, location gia’ nota per la partenza di altri bei giri quali il Nuria. Da qua, si sale, inerosabilmente, prima su asfalto pedalabile, poi inizia un eterna sterrata, noiosa quanto basta, con un fondo che non e’ mai dei migliori. Cerco di non forzare assolutamente, e di evitare qualunque strappo anche se fattibile. La strada non e’ lunga, di piu’, e bisogna conservare le forze per arrivare fino al fatidico imbocco del mitologico ZiChiccu. Il panorama lascia qualche scorcio interessante, ma fondamentalmente la strada e’ lunga e noiosa. Attorno al 15esimo km mi raggiungono i miei amici, e ci concediamo una pausa nei pressi di una fonte in compagnia di alcune vacche al pascolo.

uphill1
pozza
mkka pazza

Prosegue quindi l’eterna via crucis, su fondo non sempre buono. Per un breve tratto scambio la bici con Giuseppe, e l’elettrica mi permette di risposare un po’ le gambe. Il giro pero’ e’ talmente lungo che nemmeno gli elettrici possono permettersi di “correre”, pena l’esaurimento precoce della batteria. Arriviamo fino ad una sella panoramica: siamo a 23 km e 1000 d+ abbondanti gia’ percorsi.

sella
pan

Da qua, in teoria dovrebbe/potrebbe esserci una scorciatoia, che riduce la parte su singletrack ma toglie anche l’ultima, antipatica, salita. Credo che sara’ oggetto di futura esplorazione.
Proseguiamo ancora, su una strada fortunatamente tutta in ombra, che ben presto inizia a presentare qualche saliscendi. Purtoppo per me la stanchezza si fa sentire, le gambe non girano piu’ e sono costretta ad arrendermi e a farmi tirare lungo quest’ultima, quasi mortale, sezione. Lungo questa tratta, malgrado il traino, faccio approfondita conoscenza con un bel po’ di santi … insomma l’altro mondo e’ davvero vicino. E’ passata un eternita’, io ho il culo piatto ormai, ma ora davanti a noi c’e’ una sbarra e poi l’asfalto della strada del Terminillo. Ancora qualche colpo lentissimo di pedale e arriviamo in localita’ Cinque Confini, da cui finalmente siamo sovrastati da un qualcosa che somiglia da una montagna (per come intendo io le montagne ..) e non ad immensi collinoni. Siamo tornati alla “civilta’”, e possiamo addirittura fermaci ad un bar per un caffe’ (e per un OKI , in quanto la sottoscritta ha dolori in ogni dove, e desidera comunque riuscire a godersi la super discesa).

Terminillo

Finalmente puntiamo le ruote verso valle. Tralasciando la prima parte un po’ sporca, il sentiero e’ esattamente come speravo: un infinito mix di sezioni flow, curve strette, qualche parte piu’ rocciosa. Dopo un mezzacosta si apre una sezione a tornanti che culmina in una prateria panoramica … Questa’ e’ l’unica parte che la mia telecamera la cui batteria e’ ormai in fin di vita ha riuscito a documentare:


Si prosegue poi con una lunga e bella parte superflow, dove la scorrevolezza su sentiero naturale fa dimenticare la fatica fatta per arrivarci. Giusto qualche piccolo pezzo un po’ piu’ ostico e piu’ scivoloso mi mette in leggera difficolta’. Il trail sbuca sulla strada dei castagneti (gia’ percorsa nel giro della Cicloturistica di Antrodoco), che dovremo percorrere in discesa fino al tornante dove inizia il “vero” Zi Chiccu, ovvero l’ultima sezione (esplorata comunque in un precedente giro): si tratta di un sentiero straordinario, un flow guidato naturale con cuve strette a tratti ripide con qualche pietra fissa per complicarci ogni tanto la vita … ma nella globalita’ questo e’ davvero uno dei sentieri naturali piu’ belli e godibili mai percorsi. Fatto con una maggiore lucidita’ (qualche curva a sinistra la ho sbagliata) diventerebbe ancora piu’ apprezzabile.

Per concludere: se abitate nel centro Italia e andate in mtb, questo e’ un giro che vale l’immane sforzo della salita. Non e’ un giro da panorami imponenti o di alta quota, ma e’ letteralmente la “conquista” di quella che per ora mi permetto di definire come la piu’ bella e lunga discesa all-mountain (o enduro naturale se preferite) del centro Italia. Con questa e il Nuria, la zona di Antrodoco si conferma con un potenziale unico nel suo genere, con discese perfette per chi ama il “#naturalmentescorrevole“.

Un ringraziamento grande a Giuseppe e Guido per la compagnia e la pazienza.

Per la traccia, vi rimando a Bicinatura.